LECTIO DIVINA PRIMA

Cristo è il compimento delle promesse

Introduzione teologica al tema.

mistero di Dio
Il Dio fedele, che ha creato il mondo, e da sempre ha voluto stabilire un’alleanza con l’umanità, si è scelto un Popolo e per mezzo dei profeti gli ha promesso un Salvatore. Gesù di Nazareth, che nella pienezza dei tempi il Padre ha unto di Spirito Santo, è il Cristo che compie le promesse.

mistero della Chiesa
Dio ha radunato un Popolo per promettergli il Cristo e affinché, attendendolo, ne preparasse la venuta; il compimento di questa promessa è la ragione stessa e il fine ultimo per cui il Popolo si raduna come Chiesa. Maria, figlia di Sion, attende la promessa e, immagine della Chiesa, ne accoglie il compimento.

mistero dell’Uomo
Il Cristo, realizzando le promesse di Dio, è compimento della ricerca di significato per l’uomo di ogni tempo. Egli è la misura dell’uomo perfetto e dà pienezza e dignità ad ogni vita. Anche le speranze umane trovano in Gesù e nella sua storia il loro orizzonte di senso e le risposte alle domande più profonde.

 

testo dalla scrittura
Oggi si è compiuta questa scrittura nei vostri orecchi

Dal Vangelo secondo Luca 4,14-21.28-30

4,14 Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
16Venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:

18Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
19 a proclamare l’anno di grazia del Signore.

20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
[…] 28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 

intorno al testo di Luca
Pienezza, compimento e discepolato

L’evangelista Luca, dopo aver narrato il vangelo dell’infanzia di Gesù dove sono contenuti i semi della salvezza (cf. Lc 1-2) e dopo aver esibito le sue referenze genealogiche (cf. 3,23-38), che precedono la vittoria sul diavolo, ci stupisce presentando l’avvio dell’attività pubblica di Gesù in sole cinque autorevoli parole: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi».
Il Figlio dell’Altissimo (cf. 1,32), Gesù Cristo, ricolmo dello Spirito del Figlio, si manifesta come pienezza della storia della salvezza, la sintesi e il fine della storia d’amore che Dio ha voluto tessere con la sua creatura, il dono della misericordia divina.

Al cospetto di tale presenza, fin dai primi versetti, gli ascoltatori di Gesù (e i destinatari del vangelo) si scoprono in un vortice spirituale così avvolgente che li pone davanti ad un bivio esistenziale: chiudere gli orecchi per produrre una forza centrifuga (cf. 4,28-29) oppure lasciarsi coinvolgere per agevolare un’accelerazione centripeta (cf. 4,40-42).

All’inizio del terzo capitolo, Luca registra i nomi dei potenti della storia dell’uomo (sette), degli uomini che hanno gestito la vicenda di Gesù di Nazareth; nel capitolo quarto, inizia a descrivere, invece, la storia della potenza di Dio (cf. 4,32), una storia che da sempre rivela il desiderio di Dio di relazionarsi, di allearsi, di unirsi e di compiacersi dell’uomo, la storia di un’attesa, di una pazienza, di una immersione, di una volontà di impotenza tradita dalla sua cura misericordiosa.

Con questo brano cominciamo il cammino di quest’anno pastorale, fianco a fianco con Gesù che, partendo da Nazareth, da casa sua, dalla sua comunità, ci vuole con sé fino a Gerusalemme. Un brano dal sapore giubilare, dove invece dello shofar, a dare inizio «all’anno di grazia» è la Parola in persona che squilla potente annunciando l’evangelo (gioioso annuncio) «ai poveri, la liberazione ai prigionieri, la luce ai ciechi, la libertà agli oppressi» (4,18-19).

L’evangelista Luca, nel redigere il vangelo, si rivolge alla sua comunità di credenti provenienti dalla cultura pagana, probabilmente ellenistica, con un intento chiaro e perentorio, fin dai primi versetti: «anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teofilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto» (1,3-4). Luca, nello scrivere il suo vangelo, compie un’opera magistrale di architettura redazionale (vangelo e Atti), cercando di rimanere fedele al Cristo e fedele alla sua comunità, cui principalmente è rivolto il vangelo; in una sorta di strumentale strabismo, infatti, dopo aver fatto ricerche accurate, alla scuola di Pietro e Paolo, è oculato nel narrare i fatti e le parole di Gesù e al contempo nell’ancorare la vita della sua comunità alle origini, agganciarla alla sorgente stessa della fede, per alimentare l’entusiasmo della prima ora (che stava scemando) e rendere i suoi fedeli, consapevoli del tempo di grazia operosa che stanno vivendo, il tempo della chiesa.

È proprio il terzo evangelista, infatti, ad aver articolato la storia della salvezza in tre momenti: al centro della storia, l’evento salvifico di Gesù Cristo; l’A.T. come momento di preparazione dell’evento centrale; la chiesa come continuazione della missione salvifica fino alla venuta gloriosa del Cristo. Per la prima comunità cristiana non era affatto una tripartizione scontata, in quanto pensava di essere la comunità escatologica, che avrebbe vissuto cioè l’imminente parusia.

Con il passare degli anni, le diverse comunità cristiane, aiutate dagli evangelisti, compresero di aver ricevuto da Cristo stesso il dono di continuare la missione affidatagli dal Padre, sostenute e guidate dallo Spirito del Figlio. Dall’attesa, il tempo di Israele, al compimento, il tempo di Gesù Cristo, alla continuazione della sua opera, il tempo della chiesa.

Il vangelo del “compimento”, fin dall’inizio. Al saluto di Maria, Elisabetta esclama: «Beata colei che ha creduto al compimento di ciò che le è stato detto dal Signore» (1,45); «per Elisabetta si compì il tempo del partorire» (1,57); «mentre si trovavano là [Betlemme] si compirono per lei [Maria] i giorni del parto» (2,6). Per Elisabetta e Maria, non “finisce” il tempo della gravidanza ma “si compie”.

L’evangelista in tutta la sua narrazione ci tiene a svelare che quanto sta accadendo è un e-vento irripetibile, anche se chiede la costanza della fedeltà; un evento unico, anche se “memoriale”, disponibile per tutti coloro che vorranno (cf. At 2,39); un evento storico, anche se proviene dal desiderio dell’Eterno; un evento incredibile di gioia piena, anche se profetizzato da millenni (cf. 2,16s.25.34) e che ora si manifesta nell’ «Oggi è nato per voi …» (Lc 2,11).

Il vangelo secondo Luca, viene anche identificato come il vangelo del discepolo; inizia nel Tempio di Gerusalemme, con Zaccaria che offre la vittima sacrificale a Dio (cf. 1,8ss) e si conclude con i discepoli che con grande gioia stavano sempre nel Tempio lodando Dio (cf. 24,53), senza più sacrifici, perché dopo averlo riconosciuto nello spezzare il pane, pieni di gioia per aver incontrato il Risorto, corrono ad annunciare agli altri la gioia del gesto eucaristico (cf. 24,33): il vero, unico ed eterno sacrificio, che compie la piena comunione di Dio con l’uomo. Al centro del vangelo, il lungo viaggio di Gesù con i suoi discepoli, caratterizzato dalla meta: Gerusalemme, luogo cardine della storia della salvezza, punto di arrivo dell’A.T. e punto di partenza del N.T. Da lì partirà la predicazione degli apostoli Pietro e Paolo che giunti fino a Roma, la seconda città santa, testimonieranno con il sangue (martyrìa) «Gesù Cristo è il Signore» (cf. At 2,36; 11,20; è il kerigma).

dentro il testo di luca
Nazareth visitata dalla Parola

Una narrazione carica di momenti intensi cesellati da verbi fondamentali per l’evangelista. Gesù non andò a Nazareth ma venne a Nazareth (viene verso di noi), nella sua comunità, dove tutti lo conoscevano e nel giorno di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere; quindi gli fu consegnato il libro ed egli avendolo aperto, trovò […] il brano del profeta Isaia. Dopo la proclamazione della Parola di Dio, si siede ed ecco il colpo di scena: Dio-Parola attesta con autorità riconosciuta il compimento delle parole di Dio per i suoi compaesani che lo ascoltavano. L’epilogo? Volevano farlo precipitare dal monte. Ma lui, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Shabbat shalom (che sia un sabato di pace)

Il vangelo secondo Luca è il vangelo del Signore che cammina con i suoi discepoli: da Gerusalemme a Cafarnao, da Cafarnao a Nazareth per proseguire fino a Gerusalemme dove viene crocifisso, muore, risorge, appare ai suoi e ascende al cielo. È lui il protagonista indiscusso: è lui che viene a Nazareth, ci raggiunge a casa nostra, entra nella sinagoga, il luogo più sacro, e nel giorno di Shabbat, dopo essersi alzato per leggere Isaia, si siede e proclama: «Oggi si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi» (Lc 4,21). Proprio come gli aveva insegnato il Padre suo: «Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e nel settimo giorno cessò (shabbat) da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando» (Gen 2,2-3).
Cosa celebrano gli ebrei nel giorno di Shabbat, il giorno più sacro? Cosa celebrano i cristiani nel giorno di Domenica? Nessuna opera, celebrano il riposo di Dio, anzi, la “cessazione” dell’opera di Dio, la proclamazione di quanto Dio ha fatto per loro nei giorni precedenti. Gli ebrei nello Shabbat e i cristiani nella Domenica, ringraziano Dio per i sei giorni della creazione. Si celebra la contentezza di Dio, la sua Pace. Il settimo giorno è festa grande, e nella festa c’è il compimento del lavoro di Dio; senza la festa non c’è il compimento. Quel giorno Dio non parla, quindi non crea; nel settimo giorno Dio si compiace di quanto ha fatto, guarda indietro e benedice il suo creato, lo con-sacra, intreccia cioè un legame indissolubile con la sua creazione. Nel settimo giorno Dio non parla, bene-dice; non crea, incontra le sue creature.
Gesù a Nazareth, nel settimo giorno, non opera, è la benedizione stessa di Dio, è la Parola che esce dalla bocca del Padre, è il compiacimento stesso del Padre che vede il Figlio che si è fatto fratello degli uomini. Ecco perché proclama in sinagoga il compimento della Scrittura, è Lui il soggetto della Scrittura, Lui ne è l’oggetto, Lui l’ispiratore; mentre legge il rotolo di Isaia, in realtà lo riconosce, anzi, come suggerisce il verbo greco, si riconosce, come in un album fotografico della propria infanzia. Lo Shabbat è come la “cattedrale del tempo”, dove scorrono i giorni e le stagioni nelle quali si celebra la presenza dell’Altissimo.

«Oggi» (Lc 4,21)

Siamo al primo «oggi» dell’attività pubblica di Gesù. Già ai pastori l’angelo annunciava: «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,21): il tempo dell’attesa è finito perché è entrata nel mondo la Parola; l’oggi indica chiaramente il motivo della presenza di Dio nell’incarnazione: Egli è qui, nella storia degli uomini, con un volto umano, mentre cammina, mentre parla, mentre chiama, mentre incontra, mentre compie miracoli, mentre prega, mentre condivide, mentre ascolta, mentre serve, mentre conforta coloro che lo incrociano e lo supplicano. Nell’AT, l’avverbio oggi ritorna spesso per indicare l’idea del tempo presente in collegamento con l’interpretazione del passato e lo sguardo verso il compimento futuro delle promesse messianiche. Pertanto l’oggi dell’AT è un’anticipazione del compimento del tempo, che si realizza con la missione di Gesù a cui segue la continuazione della missione nel tempo della chiesa.
L’oggi dello Shemà Israel, il credo ebraico, dove l’ascolto della Parola diventa efficace nell’oggi della fede e dell’amore verso Dio, rimane paradigmatico dell’atteggiamento del credente.
Il primo oggi a Nazareth, è l’oggi della Sacra Scrittura mentre l’ultimo a Gerusalemme è l’oggi della salvezza: «oggi sarai con me in paradiso» (23,43). L’Evangelista vuole indicarci che la strada per la salvezza, cioè per la conversione e per la vera gioia, consiste in una relazione, nello stare con Gesù, nell’oggi temporale, da ora e da casa nostra, in un atteggiamento di ascolto, alla sua scuola, davanti alla Parola che riconosce e spalanca le Scritture (cf. 24,27.32.44-45), per poter stare con Lui sempre, nell’oggi eterno di Dio dove una gioia propulsiva (cf. 24,41.52) mi spinge “senza indugio” a Gerusalemme (cf. 24,33) e fino a Roma (cf. At) per condividere quel vortice spirituale incontenibile e totalizzante.
D’altra parte, ricordava papa Francesco: «Il cuore del catechista (e quindi del credente che in quanto tale è missionario) vive sempre questo movimento di “sistole – diastole”: unione con Gesù – incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono».

«Si è compiuta questa Scrittura nei vostri orecchi» (Lc 4,21)

«Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza […]
Entrate: prostràti, adoriamo […] Ascoltate oggi la sua voce »
(Sal 95,1.6-7)

Chi ascolta oggi la sua voce, entra nella terra promessa. Così prega l’ebreo e il cristiano il Salmo 95, entrando nel memoriale dell’ingresso nella terra promessa, prima di “oltrepassare” il fiume Giordano. Se oggi non ascoltate, non entrate. Dunque ascoltando ogni giorno la sua parola si diventa contemporanei dell’oggi eterno di Dio, si compie il “passaggio” (pesah – passaggio – pasqua), dall’attesa, all’ascolto, alla sequela.
Il compimento operato da Gesù avviene «nei nostri orecchi» per poi pervadere tutto il corpo fino alle gambe (missione). Gesù, ascoltando la Parola del Padre è divenuto egli stesso Parola e nel battesimo al Giordano, mettendosi in fila ed immergendosi nell’acqua dei peccatori, attraversa e “oltrepassa” tutto l’umano, solidarizza in toto, viene toccato e trafitto nella sua carne dalle spine dell’esperienza umana, ricevendone il compiacimento del Padre (cf. Lc 3,21).
Un testo, annunciato e scritto tanti secoli prima da Isaia, si realizza nell’oggi, nel presente. I nazareni devono passare dall’attesa all’adesione, devono fare il salto di qualità: dalla storia passata all’attimo presente. Accettare l’oggi di Dio che ti stupisce, che ti mette in crisi, che non aspettavi né prevedevi. In Gesù, Dio compie le sue promesse.
«Ficcatevi nell’orecchio questa Parola» (9,44), dirà Gesù più avanti ai suoi discepoli. Quasi a dire che solo nell’ascolto quotidiano della Parola si può creare un terreno fertile, un terreno che accoglie il seme della Parola per farlo germinare, il seme della vita nuova, della vita divina.
Il discepolo è colui che ascolta la Parola; non è il discepolo a realizzare la Parola, è la Parola stessa che lo realizza e lo attualizza facendolo entrare nell’oggi. Dio nel suo Figlio, ha scelto di coabitare con l’umano, si è reso bisognoso dell’uomo per manifestarsi: è la scelta dell’amore, del consumarsi fino all’invisibilità per l’altro. Il credente che vuole camminare al fianco di Gesù, non deve tanto parlare di Gesù né parlare a Gesù, egli deve anzitutto aprire gli orecchi, ascoltarlo, far entrare la sua Parola e, divenuto suo fratello, scorgerlo e seguirlo nei fratelli fino alla fine, fino ad “oltrepassare” insieme il fiume Giordano.
«Ma Lui, passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (4,30). Quando si compie l’opera di Gesù, quando cioè la sua misericordia passa e pervade i lontani e gli stranieri , lì, nell’oggi, le persone si dividono e vogliono eliminarlo , perché lo si vuole solo per sé, non condiviso con nessuno. L’esperienza entusiasmante con Gesù viene fraintesa ma l’amore di Dio, come pure quello degli uomini, non si diffonde fino ad esaurimento scorte ma fino al raggiungimento della sua pienezza in ogni uomo. Con Gesù a fianco, gli ostacoli sono occasione di incontro, gli imprevisti il nutrimento della speranza, le sofferenze lo scalpello dell’amore, i muri come ponti per “oltrepassare” il limite.

dentro la vita
In dialogo con la Parola

  • Quali parti della mia vita trovano in Cristo una risposta?
  • Quali sono i tempi che dedico all’ascolto della Parola, come strumento per l’incontro con Dio?
  • In quali occasioni la nostra comunità è consapevole di continuare la missione di Cristo?
  • Alla luce del testo meditato, quali altre domande mi pongo e quali ci poniamo come comunità?