LECTIO DIVINA ALTERA

Dio si lascia incontrare nel volto umano di Cristo

INTRODUZIONE TEOLOGICA AL TEMA

mistero di Dio. Gesù di Nazareth, figlio di Maria, è vero uomo: è cresciuto in età, ha imparato alla maniera degli uomini, ha mangiato e bevuto con i suoi amici, ha sofferto per amore ed è morto sulla Croce. Gesù è il primo in tutta la storia che si rivolge a Dio chiamandolo «abbà»: Egli è il Figlio di Dio, unico Dio con il Padre, che lo ha risuscitato dai morti.

mistero della Chiesa. L’umanità di Gesù è il segno con cui Dio rivela e comunica efficacemente il suo amore. La Chiesa prolunga nella storia l’umanità di Cristo: annuncia il suo Vangelo, comunica la salvezza celebrando i sacramenti e nel suo nome riconosce ogni uomo e ogni donna come fratello e sorella.

mistero dell’Uomo. L’incarnazione è per i cristiani un principio esistenziale che permette loro di incontrare l’autenticità di sé, dell’altro, e di Dio, nella concretezza del presente. Dio, nel qui ed ora, rivolge a ciascuno una chiamata personale e comunitaria ad essere pienamente a sua immagine e somiglianza.

 

TESTO DELLA SCRITTURA

Vieni e vedi

Dal Vangelo secondo Giovanni (1,35-46)

TRAD. CEI 2008 1,35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo – 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. 43 Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». 44 Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. 45 Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». 46 Natanaele gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».

TRAD. LETTERALE ANNOTATA. 35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando [enblèpō: guardare dentro] Gesù che camminava, disse: «Guarda l’agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando [theàō: guardare contemplando] che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro-, dove rimani?». 39 Disse loro: “Venite e vedrete” [oràō: vedere con gli occhi della mente]. Andarono dunque e videro [oràō] dove egli rimaneva e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42 e lo condusse da Gesù. Fissatolo [blepō: guardare in un dato modo di] Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro. 43 Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: «Seguimi!». 44 Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. 45 Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazareth». 46 Natanaele gli disse: «Da Nazareth può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi» [ìde].

 

INTORNO AL TESTO DI GIOVANNI

La Rivelazione si comunica

Con la testimonianza di Giovanni il Battista, così come il prologo prometteva, gli uomini cominciano a credere. Ogni giorno c’è un graduale approfondimento di comprensione e una più profonda presa di coscienza di chi sia colui che i discepoli stanno seguendo. Dopo l’ingresso glorioso della “Parola” (cf. Gv 1,1), il Battista, la “voce” (cf. 1,23), dà corpo alla “Parola”, iniziando così un circolo virtuoso di trasmissione, dall’uno all’altro, seguendo proprio l’espediente del Precursore, il quale riceve la Parola (cf. 1,33), ne sperimenta la verità (cf. 1,32), la vive (cf. 1,27.34) e infine la trasmette (cf. 1,36). È la nascita della chiesa.

Ci troviamo solo all’inizio del vangelo, eppure il fiume della Rivelazione sembra già sfociare nel secondo capitolo quando, dopo il segno delle nozze di Cana «egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui» (2,11). In questi pochi versetti della chiamata dei primi discepoli, l’evangelista Giovanni, attraverso i titoli cristologici, anticipa in un climax lo sviluppo dell’identità del discepolo che riconosce in Gesù: l’agnello di Dio (Giovanni il Battista, cf. 1,36), il Rabbi (due discepoli, cf. 1,38), il Messiah (Simon Pietro, cf. 1,41), colui che è descritto nella Legge mosaica e nei profeti (Filippo, cf. 1,45), il Figlio di Dio e Re di Israele (Natanaele, cf. 1,49).

Un brano, il nostro, che segue il Prologo di Giovanni (cf. 1,1-18) e che si incastona nella prima parte del libro dei segni (cf. 1,19-12,50), il preludio al libro dell’Ora o della Gloria (cf. 13-21). Ogni parte del quarto vangelo, ogni sua sezione, ogni pericope, ogni “segno” e addirittura ogni verbo, contengono, come in un sistema, il riferimento al tutto, soprattutto al tema di fondo: Cristo, il Rivelatore! Il Rivelatore di Dio (il Padre), di sé (il Figlio) e della loro comunione (lo Spirito Santo) e quindi dell’uomo. Il Verbo di Dio si incarna per rivelare il volto misericordioso del Padre, il suo amore per gli uomini «fino al compimento» (cf. 13,1; 19,30) al fine di consegnare all’uomo la sua identità di creatura amata e chiamata ad aderire al Cristo per condividere la stessa vita di Dio: «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (20,31). Se il Cristo è il rivelatore del Padre, i discepoli saranno i rivelatori del Cristo; se il Cristo rende testimonianza dell’amore del Padre «fino al compimento», i discepoli, animati dal suo Spirito, vivranno del suo amore (ad intra) diffusivo di sé (ad extra).

La comunità destinataria del vangelo secondo Giovanni è composta da credenti che hanno provato e vivono tutt’ora le persecuzioni imperiali anticristiane e le scomuniche giudaiche. L’evangelista vuole incoraggiare la sua comunità (della fine del I sec.), fondando il legame indissolubile tra la fede e la vita, tra il Cristo e i suoi discepoli, ma soprattutto ancorando il dato integro della fede al mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, vero uomo e vero Dio e alla sua passione, alla sua morte e alla sua risurrezione.

DENTRO AL TESTO DI GIOVANNI

Fissare lo sguardo

Giovanni il Battista, «che stava ancora là», oltre il Giordano, proclama per la seconda volta Gesù come «Agnello di Dio» (Gv 1,29.36) e questa volta trova ascolto quando i due discepoli seguono Gesù. Il termine «seguire», per Giovanni come anche per i vangeli sinottici, è il termine per eccellenza della consacrazione dei discepoli. Fin dalle prime parole, l’evangelista Giovanni lascia intendere che i discepoli del Battista stanno per diventare discepoli di Gesù. Per questo può ormai scomparire dalla scena e lasciare che i suoi discepoli si assumano il compito di rendere testimonianza a Gesù: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (3,30). D’altra parte, dice loro Giovanni: «io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (1,34): compie la sua missione e si fa da parte.

«Gesù allora si voltò e, osservando…» (v. 38)

«Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). Così Gesù, durante i discorsi dell’ultima cena. Non per rimarcare chi comanda, ma per chiarire l’identità del discepolo; chi segue Gesù, infatti, non è un semplice filantropo o un amante della verità che si imbatte in un ideale di vita che diventa il suo valore assoluto; chi segue Gesù è colui che scopre che è Gesù a cercarlo e che il Padre, nel suo Figlio, dall’eternità ha in serbo per lui il dono più caro, più segreto, più proprio e più esclusivo per un Dio, il suo Spirito, cioè la sua vita. Chi segue Gesù, insomma, è colui che si sente “in-seguito” da Gesù; colui che si sente così cercato e “fissato”, così apprezzato e amato da testimoniare Gesù al mondo intero. Ed è quello che ha fatto il Battista.

Gesù si reca là, aldilà del Giordano, più di una volta. La prima volta, vedendo Gesù che gli andava incontro, il precursore lo proclama come «l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (1,29); nella terza giornata della testimonianza del Battista, viene di nuovo Gesù e questa volta non gli va incontro ma «fissando Gesù mentre camminava dice: guarda l’Agnello di Dio» (1,36). Dove andava Gesù? Giovanni non lo dice. A volte, come ci insegnano le interpretazioni rabbiniche della Sacra Scrittura, il “non detto”, a dispetto della sua trasparenza, evoca spazi e interrogativi così significativi ed efficaci da risultare indispensabile per la comprensione del “detto”. Gesù è un “camminante” (peripatoùnti), passa di lì, ritorna per il secondo giorno consecutivo e questa volta si lascia “fissare”, guardare dentro da Giovanni il Battista. Si tratta di uno sguardo che tenta di penetrare il mistero della persona.

Quando qualcuno ci fissa, due possono essere le reazioni: o crea un serio imbarazzo, come se ci perforasse interiormente, se si frapponesse tra noi e la nostra coscienza; oppure, se lo sguardo fisso è della persona che si ama, non ci sentiamo affatto violati, ma connessi intimamente in una vibrante quanto silenziosa comunione affettiva; comunione così eloquente che se consegnata alle parole, riuscirebbero solo a riprodurne una vaga e confusa immagine.

Giovanni quindi fissa gli occhi su Gesù con l’intenzione di rivelare qualcosa e, infatti, subito dopo aggiunge: «guarda l’Agnello di Dio». Gesù torna ancora una volta là dove sa di trovare quegli uomini che ha già scelto come suoi; torna, cammina, passa, crea l’occasione e si lascia fissare da Giovanni il Battista, il quale vorrebbe che il suo sguardo fosse anche quello dei suoi discepoli.

C’è dunque una stretta relazione tra la testimonianza (cf. 1,34) e la visione che diverrà personale esperienza di fede dei discepoli: «erano circa le quattro del pomeriggio» (1,39). Si passa così dalla fede del Battista alla fede dei suoi discepoli che stanno per diventare i discepoli di Gesù.

«Videro e rimasero con lui» (v. 39)

Ascolto, sequela, visione, rimanere …

I due discepoli si mettono alla sequela di Gesù perché hanno udito la proclamazione del testimone. Anche per Giovanni il Battista c’era stato in precedenza un ascoltare: «colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”» (Gv 1,33). Soltanto in seguito egli ha “veduto” (cf. 1,32-34). L’ascolto precede il “vedere”. Il “vedere” accade solo quando Gesù si manifesta, e si manifesta come «uno che sta in mezzo a voi» (1,26), che passa vicino, che ripassa una seconda volta e che si lascia guardare e seguire. E “due discepoli” accolgono l’invito del Battista a guardare Gesù e lo seguono (cf. 1,37).

Guardare Gesù è l’esperienza del credente, l’esperienza nei confronti di chi si ama e di chi si stima. Un incontro d’amore che succede alla scelta d’amore; scelta che proviene dall’ascolto del “dire di Dio” che chiede una intelligenza accogliente che si lascia amare.

E dopo aver ascoltato la testimonianza di Giovanni il Battista, i due discepoli lo seguono perché vogliono «stare con lui». Non vogliono semplicemente dimorare. Il verbo greco lo sottolinea per ben tre volte: «Rabbì dove rimani? … videro dove rimaneva e quel giorno rimasero presso lui» (1,39). Gli chiedono “Dove stai di casa?”, “Chi sei?”, “Chi frequenti?”, “Che gusti di arredo hai?”, “Quale è il tuo pensiero?”. È la richiesta di chi vuole entrare nella tua vita, dopo che tu gli hai aperto il cuore. «Rimanere in» nel vangelo secondo Giovanni indica la reciproca appartenenza di Gesù e dei suoi discepoli; una reciprocità costituita dall’amore, a imitazione della reciproca immanenza trinitaria del Padre e del Figlio nello Spirito Santo (in-manere).

Nel capitolo quindicesimo, all’interno del discorso su Gesù vera vite, spicca l’invito-promessa-certezza di Gesù: «Rimanete in me ed io in voi» (15,4). Tradotto con un termine più nostro, si potrebbe dire che i due discepoli cercano l’entusiasmo, una vita riempita di Dio, un Dio nel quale abitare. In altre parole il verbo giovanneo, “rimanere in”, corrisponde all’«essere in Cristo» di S. Paolo. Potremmo quasi dire che in questa espressione è racchiuso il testamento di Gesù: “rimanere in lui” significa assumere la sua mentalità, accettare la sua logica, il suo modo di vedere, di sentire, di percepire e soprattutto di amare. Infatti il discepolo dà prova concreta di “essere in lui” se vive il comando dell’amore: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (13,35) . I due discepoli “vedono”, “rimangono dentro casa”, fanno esperienza di Gesù, entrano nella vita divina del Verbo incarnato.

«Abbiamo incontrato il Messia … vieni e vedi» (vv. 41.45-46)

Missione

L’esperienza di stare con Gesù per tutta la giornata, di “rimanere in lui” per tutte quelle ore, ha dato ai due discepoli una più profonda comprensione della sua identità. Hanno fatto la stessa esperienza del Battista; chi fa un’esperienza d’amore intenso non può non comunicarla; ognuno dice solo ciò che ha dentro di sé.

Parte la catena delle testimonianze dell’esperienza di Dio, un contagio benefico che è arrivato fino a noi, fino ad oggi; una staffetta che passa la fiamma dall’uno all’altro, senza mai interrompersi grazie ai martiri credibili di cui ci si fida perché legati tra di loro da una relazione di amore (padre, madre, nonni, fratelli, innamorati, amici …). Una successione di sguardi: «fissatolo, Gesù disse: tu sei Simone … sarai chiamato Cefa» (Gv 1,42). Quasi a dire: “per me tu sei e diventerai Cefa” cioè pietra, la roccia della fede, che tradirà, perché duro come una pietra, ma proprio per questo rimarrà roccia consapevole, che sperimenta la fedeltà del Signore: Lui crede in te. È il secondo nome, quello che realizza la verità di Pietro, la descrizione della sua identità e della sua missione.

Ecco la conseguenza dell’incontro con Gesù Cristo: contagiare con il proprio entusiasmo chi mi sta a fianco: “vieni e vedi”, dice Filippo al fratello. Se hai dubbi, se nutri pregiudizi, rispetto alla persona e alla sua origine, allora vieni a “stare con lui”, sembra voler dire Filippo a Natanaele. Per cercare la verità e avere fiducia è necessario liberarsi da ogni schiavitù mentale, da ogni paura e dalle proprie certezze. Ecco allora che scatta l’invito: vieni a “vedere”, a sperimentare quello che ho sperimentato io e poi …

Giovanni, con questo brano, in questi pochi versetti con cui comincia il suo vangelo, vuole presentarci delle scene da contemplare e da completare, verbi su cui meditare, parole da interiorizzare.
L’autore del quarto vangelo, dopo l’Inno al Verbo incarnato, la Parola che si manifesta all’uomo (Prologo), fotografa il passaggio della Parola: dal primo testimone ai primi due discepoli che a loro volta si voltano verso i loro prossimi.

È lo schema della comunicazione umana che il Rivelatore ha adottato:
tutto ha inizio con Gesù che si mostra, crea interesse: camminava;
i discepoli: lo seguivano;
e lui si volta e chiede: cosa cercate?;
la risposta: la felicità, la dimora della pace, il segreto della realizzazione;
allora Egli invita: venite e vedete”;
e loro: andarono, videro e dimorarono;
testimonianza: “vieni e vedi”, la missione.

Appena si scopre la dimora della Pace, subito dopo la verifica esperienziale, si viene attraversati dal desiderio di condivisione con chi mi sta a fianco. La comunicazione non è solo profetica (parlare al posto di), quello che si trasmette è un cambiamento di atteggiamento, di impostazione di vita, di gerarchia valoriale. Per rimanere in Lui, il Rivelatore del Padre, è necessaria la propria esperienza personale: erano circa le quattro del pomeriggio .

 

DENTRO LA VITA

Incontrare e rimanere in Cristo

  • In quale occasione mi sono lasciato incontrare da Cristo?
  • Su quali aspetti di Gesù “si fissa” il mio sguardo? Cosa significa per me “rimanere in Lui”?
  • Come comunità con chi condividiamo l’esperienza dell’incontro con Cristo?
  • Alla luce del testo meditato, quali altre domande mi pongo e quali ci poniamo come comunità?