
‘ Invocazione dello Spirito Santo:
O Spirito Santo,
riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in noi quello stesso fuoco,
che ardeva nel cuore di Gesù,
mentre egli parlava del regno di Dio.
Fa’ che questo fuoco si comunichi a noi,
così come si comunicò
ai discepoli di Emmaus.
Fa’ che non ci lasciamo soverchiare
o turbare dalla moltitudine delle parole,
ma che dietro di esse cerchiamo quel fuoco,
che infiamma i nostri cuori.
Tu solo, Spirito Santo,
puoi accenderlo
e a te dunque rivolgiamo la nostra debolezza,
la nostra povertà, il nostro cuore spento…
Donaci, Spirito Santo,
di comprendere il mistero della vita di Gesù.
Donaci la conoscenza della sua persona,
per comunicare alle sue sofferenze,
e partecipare alla sua gloria, Amen.
(Carlo Maria Martini)
? Ambientazione:
Dopo aver approfondito il giudizio su Babilonia (Ap 17,1-18), in Ap 18 viene riportato l’annuncio della sua caduta (vv.1-3) e l’invito ad abbandonare la città peccatrice per evitare di partecipare alla sua condanna (vv. 4-8). Segue un lamento sulla città (vv. 9-20) e il commento dell’azione simbolica: un angelo scaraventa nel mare una grande pietra e con questo segno egli intende profetizzare la fine della città corrotta che ha versato il sangue dei profeti, dei santi e di quanti sono stati immolati sulla terra (vv. 21-24). Il capitolo successivo (Ap 19) si apre con un inno liturgico in cui si esprime l’esultanza per il regno del Signore e le nozze dell’Agnello (vv. 1-10). In 19,11-16 vi è l’intervento del Logos di Dio e a cui segue nei vv. 17-21 la breve descrizione della guerra tra la bestia associata ai re alleati con i loro eserciti e il personaggio seduto su un cavalo bianco, che è raffigurazione del Cristo risorto. Si tratta del primo combattimento escatologico in cui si preannuncia la sconfitta della bestia e il definitivo annientamento della sua potenza malefica. Con la vittoria di Cristo avviene la cattura della bestia e del falso profeta. Entrambi vengono gettati vivi nello stagno di fuoco, mentre gli altri sconfitti vengono uccisi di spada e gli uccelli si saziano delle loro carni. Seguendo lo sviluppo del racconto apocalittico in Ap 20 si introduce una periodizzazione temporale, collegata al computo di «mille anni» al cui termine Satana sarà per breve tempo liberato per poi essere definitivamente consegnato alla Morte e agli inferi. Affrontiamo l’analisi di Ap 20,1-15. Il capitolo si compone di quattro unità: l’imprigionamento di Satana (vv. 1-3); la risurrezione dei martiri che regnano per mille anni (vv. 4-6); la successiva liberazione di Satana per un breve periodo e la sua sconfitta definitiva (vv. 7-10); il giudizio finale, la fine della morte e la condanna di quanti non sono iscritti nel libro della vita (vv. 11-15).
& Brano della Scrittura: Ap 20,1-15
1E vidi un angelo che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell’Abisso e una grande catena. 2Afferrò il drago, il serpente antico, che è diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni; 3lo gettò nell’Abisso, lo rinchiuse e pose il sigillo sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po’ di tempo. 4Poi vidi alcuni troni – a quelli che vi sedettero fu dato il potere di giudicare – e le anime dei decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia e la sua statua e non avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Essi ripresero vita e regnarono con Cristo per mille anni; 5gli altri morti invece non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. Questa è la prima risurrezione. 6Beati e santi quelli che prendono parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte, ma saranno sacerdoti di Dio e del Cristo, e regneranno con lui per mille anni.
7Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere 8e uscirà per sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg, e radunarle per la guerra: il loro numero è come la sabbia del mare.
9Salirono fino alla superficie della terra e assediarono l’accampamento dei santi e la città amata. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. 10E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli.
11E vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva. Scomparvero dalla sua presenza la terra e il cielo senza lasciare traccia di sé. 12E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. E i libri furono aperti. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere, in base a ciò che era scritto in quei libri. 13Il mare restituì i morti che esso custodiva, la Morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. 14Poi la Morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco. 15E chi non risultò scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco.
Æ Approfondimento esegetico:
Il capitolo si apre con l’apparizione di un angelo «che scendeva dal cielo con in mano la chiave dell’Abisso e una grande catena» (v. 1). Richiamando la precedente figura (cf. Ap 9,1-2) l’autore giovanneo presenta l’atto finale con cui Dio vince il male, il serpente antico, che è il diavolo e il Satana. Forte della potenza divina l’angelo compie la sua azione possente: afferra il drago, lo incatena per mille anni, lo getta nell’Abisso, lo rinchiude e pone il sigillo sopra di lui. Si evidenzia il dato temporale (mille anni) e lo scopo dell’azione angelica: evitare che il drago possa sedurre le nazioni. Il valore simbolico dei «mille anni» richiama la durata limitata della storia umana: «mille anni per Dio sono come il giorno di ieri che è passato» (cf. Sal 84,11; 90,4). Il simbolo è riproposto in 2Pt 3,8 in cui l’autore petrino evidenzia il tempo che Dio segna per la vita dell’umanità in vista del compimento escatologico, della venuta del giorno del Signore.
Nel corso di questo periodo la terra è segnata dalla presenza dei martiri e della loro testimonianza pacifica. Questa condizione è possiede un termine: «fino al compimento dei mille anni, dopo i quali deve essere lasciato libero per un po’ di tempo (mikron kronon)» (v. 3). Dopo le due bestie e i loro eserciti, è annientato il loro capo, il drago. La rivelazione sottolinea come il castigo avviene in due fasi: Satana è ridotto all’impotenza per mille anni, nei quali regnano i martiri (cf. Ap 12,7-12). Poi (cf. 20,7-10) il drago si rivolterà di nuovo per fare all’umanità, prima che le sue «forze armate» vengano definitivamente schiacciate. I commentatori evidenziano la sconfitta del drago ma questi dovrà ancora nuocere all’umanità, per il fatto che pur sconfitto, non si è ancora arreso. Circa l’interpretazione del simbolo numerico dei «mille anni» (cf. 20,2-7) e la concezione del millenarismo (chiliasmo) le interpretazioni sono state varie. Riassumendo si possono indicare due principali tendenze: quella di chi interpreta il millennio in senso cronologico-letterale[1] e di chi vi legge solo una formula simbolico-spirituale. Prevale oggi l’interpretazione simbolico-spirituale che suggerisce di vedere nel simbolismo numerico un riferimento all’intervento divino nella storia della salvezza, collegato all’antica alleanza o al periodo che va dalla risurrezione di Cristo alla sua parusia[2]. L’impiego del simbolismo numerico sembra finalizzato a sottolineare l’opera di Dio che guida la storia, la governa pur nella presenza temporanea dell’insidia del male. Satana già sconfitto, ma non arreso, ha ancora da apparire per un breve momento storico, per essere definitivamente ricacciato nell’Abisso.
Nei vv. 4-6 viene presentata una seconda scena. Giovanni vede alcuni troni. Su di essi si siedono gli antichi martiri e a loro viene dato il potere di giudicare. Queste figure sono coloro che furono decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio[3]. Costoro non avevano adorato la bestia e la sua statua e non avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano[4]. Solo a loro è concesso di riprendere vita e di «regnare con Cristo per mille anni» (v. 4), a differenza di altri morti che non tornarono in vita fino al compimento dei mille anni. L’autore sottolinea che questa è la «prima risurrezione» (v. 5). Pertanto i protagonisti del primo millennio sono i martiri che hanno confessato la fede con il dono della loro vita e per questo regnano con Cristo.
Ne. v. 6 si aggiunge una beatitudine per coloro che prendono parte alla «prima risurrezione». Nella difficile interpretazione del testo si ritiene che l’autore voglia sottolineare la beatitudine già attiva in coloro che hanno dato la vita per il Vangelo e già godono della beatitudine dei santi nella luce pasquale. Per questo la «seconda morte» cioè quella eterna (l’inferno) non è da temere per loro. Inoltre il coraggio della loro testimonianza li ha resi «sacerdoti di Dio e di Cristo». L’azione sacerdotale esprime il dono della vita come atto liturgico, offerta immolata e sacrificio a Dio. Nel «regno» dell’amore e del servizio, i cristiani battezzati nella morte di Cristo e immolati per il suo Vangelo regneranno con Lui (cf. Mc 10,42-45).
Nei vv. 7-10 si descrive l’esito del giudizio finale che incombe su Satana, la cui disfatta sarà definitiva. Quando il millennio sarà compiuto, sarà la volta di Satana, che verrà liberato dal carcere per «sedurre le nazioni che stanno ai quattro angoli della terra, Gog e Magòg» (v. 8). L’azione diabolica continua per un tempo breve, un minimo spazio che viene messo a disposizione al diavolo che approfitta della complicità umana. Si accenna a Gog (il re) e Magòg (il territorio), figure di cui parla il profeta Ezechiele (Ez 38-39) per indicare che le nazioni pagane saranno coalizzate contro la chiesa alla fine dei tempi. Il narratore lascia intendere che l’imminente guerra che sta per scatenarsi. Facendo ricorso a tutte le sue potenzialità distruttive, Satana promuove una ribellione planetaria contro Dio e i credenti, coinvolgendo tutte le nazioni dei quattro angoli della terra i regni della terra. Il numero dei nemici radunati da Satana è innumerevole, come la sabbia del mare (v. 8). Nel v. 9 si descrive la marcia di avvicinamento delle truppe del male che assediano «l’accampamento dei santi e la città amata» (v. 9). Mentre le truppe sono schierate a battaglia, l’autore descrive l’intervento celeste come ultima efficace azione risolutrice: «un fuoco scese dal cielo e li divorò». Una simile espressione si trova in 2Re 1,10 che vede protagonista il profeta Elia. La potenza effimera del male non può far nulla contro i santi e la città di Dio. Riprendendo l’immagine di Ez 38,22 e 39,6 l’autore mostra come la potenza divina distrugge gli esercizi mentre la sorte del diavolo, il seduttore, risulta ancora più drammatica: «fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta»[5]. Si conferma la dottrina escatologica della realtà dell’inferno, a cui sono eternamente destinati il diavolo, le bestie e il falso profeta. In questa opposizione a Dio e alla sua salvezza, essi «saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli».
Nei vv. 11-15 viene descritto il giudizio universale. Si tratta dell’ultimo giudizio che riguarda la Morte (thanatos) e gli inferi (Ade). I commentatori hanno notato che questo giudizio si distingue dai precedenti momenti giudiziali per diversi aspetti: a) mentre nei precedenti giudizi le scenografie erano caratterizzate da simboli e contesti militari, nel nostro brano il procedimento assume un carattere formalmente giuridico, come di un tribunale, che ha come centro il personaggio seduto su un trono bianco) b) vengono aperti i libri che raccolgono le opere che sono oggetto del giudizio; c) si fa una distinzione tra coloro che sono giudicati degni della vita e quanti sono degni di morte (il verbo utilizzato è ekrithēsan); d) infine viene comunicata la sanzione (vv. 12; 14-15). Va sottolineato che il giudizio riguarda tutti i morti, grandi e piccoli, ogni persona che è stata sulla terra e per questo non può sottrarsi al giudizio divino (cf. Sal 139). Anche il mare e gli inferi restituiranno i loro morti per il giudizio. Al cospetto del giudice la terra e il cielo scompaiono senza lasciare traccia (v.11).
Mentre questa immensa folla che è in piedi al cospetto del trono e di Colui che vi è assiso, vengono aperti i libri. È singolare l’immagine apocalittica, che evoca la «scrittura» come segno indelebile delle azioni umane. La chiusura del libro indica la fine delle azioni umane, la conclusione delle grandi narrazioni. Il «capitolo» della nostra storia è ormai sigillato e nessuno può mutarne l’esito. È giungo il momento di leggere e di giudicare ciò che è scritto. L’espressione ricorda Dn 7,10 e richiama quanto afferma il Sal 86,6-7: «Il Signore scriverà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”». Il narratore distingue i libri in cui sono trascritte le opere dei morti da un altro libro: il «libro della vita» (cf. Ap 3,5; 18,13)[6]. Il simbolo del «libro della vita», che include il nome dei «predestinati», allude al criterio interpretativo che supera il principio della retribuzione e che richiama il mistero pasquale di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, crocifisso e risorto. I morti vengono giudicati sulla base di ciò che è scritto nei libri (v. 12). Il procedimento giudiziale segue il modello narrativo dei vangeli sinottici basato sul principio della retribuzione (cf. Mt 25; Mc 13).
Nel v. 13 si ribadisce che nessuno è escluso dal giudizio finale, che avviene mediante il discernimento e la valutazione delle opere compiute in vita. La Morte e gli inferi, presentati come personificazioni del negativo sul piano cosmico, ricevono la sentenza: vengono gettati nello «stagno di fuoco». Mentre la bestia, la prostituta e il «falso profeta» sono personaggi storici che producono il male contro l’umanità, la Morte e gli inferi sono entità cosmiche, destinate ad essere annientate per la potenza vitale di Dio e del suo Cristo (vv. 14-15). Così dopo quest’ultimo giudizio, la Morte è ridotta all’impotenza (cf. Ap 20,10; Ap 21,4 e Ap 20,6). La scena del giudizio universale volge verso il termine: tutto il male che ha afflitto il mondo e le strutture negative che hanno prodotto sofferenza e morte vengono ridotte a nulla. Una simile prospettiva è adottata da San Paolo nell’elaborazione dell’escatologia contenuta in 1Cor 15, dove si afferma che la Morte è l’ultimo nemico che verrà vinto da Cristo e finalmente il «regno» sarà consegnato nelle mani del Padre (1Cor 15,20-28).
f Messaggio:
Approfondendo la pagina di Ap 20,1-15 sono emersi alcuni temi di notevole interesse che sollecitano una riflessione personale e comunitaria. Essi riguardano alcune questioni vitali che toccano la dimensione escatologica della vita e della fede cristiana. Volendo riassumere la ricchezza del messaggio sviluppiamo quattro punti: 1) Dio giudice della storia e le opere dell’uomo; 2) La realtà della Morte degli inferi; 3) Vivere il martirio come beatitudine; 4) Il tempo, il fra-termo e l’eterno.
1) Uno dei motivi ricorrenti nella riflessione teologica e nell’esperienza pastorale ordinaria è rappresentata dalla giusta comprensione della «giustizia di Dio». Considerando gli sviluppi della vita sociale e delle sue contraddizioni ci si si chiede se le azioni umane saranno un giorno giudicate da Dio. Se vi sarà un «giudizio» come avverrà? È la storia stessa ad essere posta sotto giudizio, sia in relazione alle singole persone che all’intera umanità. In linea con la tradizione biblica, anche nell’Apocalisse si conferma questa verità (Ap 20,11-15): secondo il disegno salvifico, il Signore risorto verrà sulla terra nella sua parusia per giudicare i vivi e i morti (cf. 1Ts 4,13-17; Mt 25,31-46). Il Padre, origine e fonte della creazione, che guida le sorti della storia umana emetterà il giudizio per ogni uomo. Ciascuno riceverà la sua ricompensa sulla base delle opere compiute[7].
2) L’autore giovanneo ribadisce una verità dottrinale del cristianesimo: nel tempo ultimo della storia ci sarà la fine della Morte (thanatos) e degli inferi (Ade). Entrambe queste entità intese in senso personificato saranno definitivamente gettate nello stagno di fuoco. Riflettendo su questo mistero, è utile cogliere le differenze che caratterizzano il concetto di «morte». Infatti occorre distinguere l’idea di morte come cessazione delle proprietà vitali e dissoluzione del corpo, evento ineludibile che segna il limite storico dell’esistenza dell’uomo sulla terra, dalla concezione ontologica dalla «Morte» associata dal dramma satanico del Male e della privazione della comunione con Dio, che consiste nella partecipazione gloriosa ad una nuova vita ultraterrena segnata dall’amore eterno. Abbiamo visto come fin dall’inizio dell’Apocalisse Dio si rivela come «il Vivente, che ha potere sulla morte e sugli inferi» (Ap 1,18). Si fa accenno alla morte fisica frutto delle persecuzioni (cf. 2,17; 14,13), al sacrificio dei martiri che «sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» (7,14) e alla «seconda morte» che conduce l’uomo nell’eterna dannazione (20,6.16). Alla luce del mistero pasquale di Cristo, la morte e il morire assumono un «nuovo senso», non più segnato dal Male e dal peccato. La morte di Gesù è da considerarsi il supremo momento in cui il Figlio, obbedendo alla volontà del Padre, «dona se stesso» per amore. Nella morte di Gesù Cristo si compie la piena solidarietà di Dio con l’umanità e nella risurrezione la morte viene definitivamente sconfitta e con essa la schiavitù del peccato. Per il credente la morte non è più un «tenebroso nemico» che genera terrore, ma è quella «sorella morte corporale» che prelude all’ultima chiamata, condizione ineludibile del passaggio alla «vita futura» e, allo stesso tempo, elemento di responsabilità di fronte al compito della propria esistenza nell’ora presente.
3) L’evocazione dei credenti che hanno versato il sangue per la testimonianza della Parola richiama l’importanza del «martirio». Nel nostro testo i martiri sono definiti «beati» e la loro offerta non è vista come una sconfitta ma come un trionfo della vita. A loro è attribuito il primato del regno millenario con Cristo risorto e nella loro testimonianza si coglie la fecondità della vita cristiana. L’autore giovanneo pone in evidenza l’audacia esemplare di coloro che furono decapitati a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio e si sono rifiutati di adorare la bestia e la sua statua non ricevendo il marchio sulla fronte e sulla mano» (v. 4). Viviamo anche oggi l’esperienza coraggiosa di tante donne e tanti uomini che attestano con coraggio la verità della fede fino alla morte. Ripercorrendo le forme di «martirio» odierno siamo chiamati a riflettere sul modello di vita cristiana che caratterizza le nostre comunità e segna il nostro cammino di evangelizzazione.
4) Resta misteriosa l’interpretazione del tempo e la sua periodizzazione in Ap 20,1-15. Viene introdotto il tema dei «mille anni» che ha avuto sviluppi ed elaborazioni molteplici nel corso della storia. Cogliamo l’occasione per approfondire il motivo teologico del «tempo», la sua relazione con l’eterno e del significato che si attribuisce al «fra-tempo». È importante sottolineare come nei racconti biblici si distinguono due aspetti della concezione del «tempo»: la misura cronologica che indica un periodo (= chronos) e il «valore favorevole» di ciò che accade nel «momento presente» (= kairos). Comprendiamo quanto il Risorto rivela ai discepoli che gli domandavano quando sarebbe arrivata la fine del mondo: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,7-8). Nello scorrere del tempo storico siamo chiamati a cogliere i «momenti favorevoli» che segnano gli interventi di Dio. Valorizzare il tempo significa essere «operosi nella carità», vivere il fra-tempo qualificandolo con la testimonianza del Vangelo. Dall’evento della risurrezione di Cristo alla sua parusia sperimentiamo il fra-tempo, ci sentiamo in cammino verso il compimento futuro, un cammino di attesa e di speranza. Con la morte alle spalle e la vita davanti a noi sperimentiamo di essere inseparabili dall’amore di «Colui che era, che è e che viene» (Ap 1,8).
*** Domande
- Quale idea mi sono fatto di Dio e del suo giudizio finale? Sento l’importanza di aiutare il prossimo a fare discernimento nelle scelte di vita, allargando l’orizzonte nella prospettiva della beatitudine finale?
- Penso alla realtà della «Morte» e degli inferi come una delle entità più terrificanti e misteriose, conseguenza del male e del peccato? Come viene considerata oggi la morte umana? Sentiamo il bisogno di accompagnare e consolare le persone che hanno vissuto i distacchi del lutto?
- Colpisce la paradossale presentazione dei «martiri» che vivono per primi la risurrezione e regnano con Cristo per mille anni. Quale messaggio oggi deriva dalla testimonianza dei martiri?
- Viviamo un tempo breve, spesso riempito di impegni e preoccupazioni: quale senso oggi diamo al tempo? Sappiamo valorizzare i momenti favorevoli segnati dall’amore verso il prossimo, dal servizio? Tempo privilegiato è quello dedicato alla preghiera e alla vita liturgica: quanto tempo dedichiamo alla preghiera personale, in famiglia, nella comunità ecclesiale?
[1] L’idea di un regno terreno del Cristo della durata reale di mille anni fu condivisa da molti scrittori cristiani fino al sec. III/IV. Queste idee furono condannate dal concilio di Efeso (nel 431 d. C.). L’interpretazione millenarista è successivamente riemersa in alcuni movimenti medievali e in sette fondamentaliste moderne.
[2] Secondo Origene e Agostino il millennio alluderebbe alla forte influenza che Cristo esercita sulla storia a partire dalla sua risurrezione fino alla sua gloriosa venuta. Questa interpretazione tuttavia presenta difficoltà e limiti.
[3] Il particolare della «decapitazione» richiama la morte dei cristiani martiri a causa dei magistrati romani, in riferimento all’esercizio del potere imperiale (Babilonia – Roma).
[4] Si tratta di martiri che vivono nel mondo efesino (Asia proconsolare) e che in quel contesto hanno dato la vita per non adorare la bestia e la sua statua
[5] Il binomio fuoco-zolfo richiama la scena della distruzione di Sodoma e Gomorra (cf. Gen 19).
[6] I primi libri aperti contengono scritte le azioni buone o cattive degli uomini mentre il libro della vita riporta anche i nomi dei predestinati: cf. Ap 3,5; 17,8; 20,12.15; 21,27; cf. Fil 4,3; Dn 7,10; 12,1; At 13,48.
[7] Circa il «Giudizio finale» il Catechismo della Chiesa Cattolica nei nn. 1038-1041 afferma: N. 1038: «La risurrezione di tutti i morti, «dei giusti e degli ingiusti» (At 24,15), precederà il giudizio finale. Sarà «l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,28-29). Allora Cristo «verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli […]. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. […] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25,31-33.46). N. 1039: Davanti a Cristo che è la verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena: «Tutto il male che fanno i cattivi viene registrato a loro insaputa. Il giorno in cui Dio non tacerà (Sal 50,3) […] egli si volgerà verso i malvagi e dirà loro: Io avevo posto sulla terra i miei poverelli, per voi. Io, loro capo, sedevo nel cielo alla destra di mio Padre, ma sulla terra le mie membra avevano fame. Se voi aveste donato alle mie membra, il vostro dono sarebbe giunto fino al capo. Quando ho posto i miei poverelli sulla terra, li ho costituiti come vostri fattorini perché portassero le vostre buone opere nel mio tesoro: voi non avete posto nulla nelle loro mani, per questo non possedete nulla presso di me». N. 1040: Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte. N. 1041: Il messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2 Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto» (2 Ts 1,10).