
‘ Invocazione dello Spirito Santo:
Vieni, Santo Spirito! Vieni!
Irrompa il tuo Amore
Con la ricchezza della sua fecondità.
Diventi in me sorgente di Vita, la tua Vita immortale.
Ma come presentarmi a te
Senza rendermi totalmente disponibile,
Docile, aperto alla tua effusione?
Signore, parlami tu: cosa vuoi che io faccia?
Sto attento al sussurro leggero del tuo Spirito
Per comprendere quali sono i tuoi disegni,
Per aprirmi alla misteriosa invasione
Della tua misericordia.
Aiutami a consegnarti la vita
Senza domandarti spiegazioni.
È un gesto d’amore, un gesto di fiducia
Che ti muova a irrompere nella mia esistenza
Da quel munifico Signore che tu sei.
(Anastasio Ballestrero)
? Ambientazione:
Dopo aver approfondito la visione della donna che partorisce il bambino e del drago che viene sconfitto dall’arcangelo Michele (Ap 12,1-18), lo sviluppo narrativo in Ap 13-15 è caratterizzato dalla crescita delle forze malefiche che seducono l’umanità (Ap 13) e dall’annuncio del giudizio divino (Ap 14) che culmina con l’invio sulla terra dei sette angeli con i flagelli (Ap 15). La crescita della potenza malefica è simboleggiata da due bestie. La prima è la bestia (thērion) che proviene dal mare, con dieci corna e sette teste, dotata di un grande potere seduttivo. La bestia ha fatto guerra ai santi e li ha vinti. Associata alla bestia del mare compare nella scena una seconda bestia proveniente dalla terra, con due corna (13,11), dotata di uno straordinario potere idolatrico che attrae per la sua comunicazione ambigua («falso profeta»). Essa parla come un agnello e come il drago. Questa bestia incarna la falsa profezia e conquista con la sua seduzione un potere assoluto sull’umanità, costringendo tutti a adorare la statua della prima bestia, il cui numero simbolico che corrisponde ad una figura umana definita numericamente con «666». In Ap 14 la scena cambia radicalmente: il veggente contempla la figura dell’Agnello in piedi sul monte Sion. Appare contestualmente un corteo di 144.000 persone che seguono l’Agnello come primizia della redenzione (14,4-5). L’immenso corteo composto da credenti che si sono mantenuti puri dal peccato di idolatria, adora l’Agnello e innalza a Dio un cantico nuovo di lode e di ringraziamento. Tramite la voce di tre angeli si annuncia l’ora del giudizio (14,6.8.9), la caduta di Babilonia e la beatitudine riservata a coloro che hanno custodito i comandamenti di Dio e la fede in Gesù (14,11). In tale contesto si colloca il momento del giudizio divino rappresentato da una prima scena: «la messe e la vendemmia delle nazioni» (14,14-20). Segue immediatamente la seconda scena dominata dalla presentazione di sette angeli con i flagelli. Essi escono dalla sfera celeste dove ha sede il tempio di Dio e la tenda della Testimonianza e vengono inviati sula terra per portare a compimento il giudizio divino (15,1-8). Al centro di questa scena spicca il solenne canto di Mosé e dell’Agnello, in cui viene celebrato il primato del Signore Dio onnipotente (15,3-4). Focalizziamo la nostra analisi su queste due scene: Ap 14,14-20; 15,1-8.
& Brano della Scrittura: Ap 14,14-20; 15,1-8
14E vidi: ecco una nube bianca, e sulla nube stava seduto uno simile a un Figlio d’uomo: aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata. 15Un altro angelo uscì dal tempio, gridando a gran voce a colui che era seduto sulla nube: «Getta la tua falce e mieti; è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura». 16Allora colui che era seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta. 17Allora un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, tenendo anch’egli una falce affilata. 18Un altro angelo, che ha potere sul fuoco, venne dall’altare e gridò a gran voce a quello che aveva la falce affilata: «Getta la tua falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature». 19L’angelo lanciò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e rovesciò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio. 20Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì sangue fino al morso dei cavalli, per una distanza di milleseicento stadi. (Ap 14,14-20)
15,1E vidi nel cielo un altro segno, grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette flagelli; gli ultimi, poiché con essi è compiuta l’ira di Dio.
2Vidi pure come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e 3cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello:
«Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipotente; giuste e vere le tue vie, Re delle genti!
4O Signore, chi non temerà e non darà gloria al tuo nome? Poiché tu solo sei santo,
e tutte le genti verranno e si prostreranno davanti a te,
perché i tuoi giudizi furono manifestati».
5E vidi aprirsi nel cielo il tempio che contiene la tenda della Testimonianza; 6dal tempio uscirono i sette angeli che avevano i sette flagelli, vestiti di lino puro, splendente, e cinti al petto con fasce d’oro. 7Uno dei quattro esseri viventi diede ai sette angeli sette coppe d’oro, colme dell’ira di Dio, che vive nei secoli dei secoli. 8Il tempio si riempì di fumo, che proveniva dalla gloria di Dio e dalla sua potenza: nessuno poteva entrare nel tempio finché non fossero compiuti i sette flagelli dei sette angeli. (Ap 15,1-8)
Æ Approfondimento esegetico:
- Ap 14,14-20
Il brano di Ap 14,14-20 presenta la visione del giudizio di Dio, articolata in due unità. Nei vv. 14-16 si presenta il giudizio impiegando l’immagine della mietitura, mentre nei vv. 17-20 quella della vendemmia. La visione si apre con l’apparizione di un personaggio seduto su una nube bianca con le caratteristiche di un «Figlio d’uomo» (v. 14). Già apparso in Ap 1,13-16, questo personaggio si richiama alla visione profetica di Dn 7,13 (cf. Mc 14,62)[1]. I commentatori sono concordi nell’identificare la figura messianica con Gesù Cristo, crocifisso e risorto. Il Figlio d’uomo si colloca nella trascendenza divina (la nube) segnata dall’evento della risurrezione (il colore bianco)[2] ed esercita tutta la sua autorità come un re assiso sul suo trono (la corona d’oro: cf. Ap 4,4; 6,2) nell’atto di giudicare i suoi sudditi. Il motivo del giudizio è simboleggiato dalla falce affilata che il personaggio tiene nella mano (cf. Gl 4,13)[3]. Nel v. 15 si presenta un altro angelo che esce dal tempio e grida a gran voce l’ordine di mietere. Va sottolineata la differenza tra la funzione degli angeli e quella del Figlio d’uomo. L’angelo trasmette l’ordine da parte di Dio mentre il Figlio d’uomo esercita la sua autorità in comunione con Dio Padre. L’invito consiste nel «gettare la falce» per la mietitura. Il riferimento all’oracolo del profeta Gioele lascia intendere il giorno del giudizio divino nei riguardi degli empi e dei peccatori. Nel nostro contesto l’espressione può indicare sia il giudizio di punizione degli empi, sia il raduno finale che rappresenta il termine dell’attesa e compimento del tempo escatologico (cf. Mt 3,12; 9,37; Mc 4,29). In prospettiva cristologica, il compimento del tempo accade con la missione di Cristo (Mc 1,15: «il tempo è compiuto»). In questa ottica, l’interpretazione assume un valore positivo: i credenti devono vedere nella venuta del Signore l’intervento finale di Dio con si compie il progetto di salvezza: la terra viene così mietuta (v. 16).
Nel v. 17 all’immagine della mietitura segue quella della vendemmia. Un altro angelo esce dal tempio celeste per annunciare la vendemmia. Questo essere angelico ha il potere sul fuoco e grida che è arrivato il tempo di gettare la falce e vendemmiare i grappoli della vite perché le sue uve sono mature» (v. 18). Segue l’azione di vendemmiare e l’uva viene raccolta nel «grande tino dell’ira di Dio». Si evoca così la pigiatura dell’uva nel torchio e dal vino pigiato nel tino fuoriesce «sangue»[4]. Si tratta di un’immagine che ritornerà in 19,13.15 con riferimento alla morte di Cristo. In linea con tale interpretazione, il nostro testo allude alla passione di Gesù e alla sua potenza redentrice. Il Cristo è stato crocifisso ed è morto fuori dalla porta della città santa (cf. Eb 13,10).
Colpisce l’enorme quantità di sangue che raggiunge il «morso dei cavalli» e la sua misura è pari a milleseicento stadi (200 miglia)[5]. Si tratta di un’immagine cruenta, drammatica, visualizzata come un lago largo milleseicento stadi e profondo come l’altezza di un cavallo al morso. Con questa immagine, probabilmente collegata a quella esodica del Mar Rosso (cf. Es 14,15-31), l’autore vuole esaltare la potenza immensa di Cristo vincitore e la grandezza della diffusione del male.
Il valore sacrificale della sua morte significato nel suo sangue, come un fiume di salvezza, inonda l’aridità della condizione umana ed estende il suo effetto salvifico fino all’estremità della terra.
Riassumendo il messaggio del nostro brano si sottolinea come il Signore si presenta nel simbolo dell’Agnello, ritto e visibile sul monte Sion. Egli è il vero Figlio di Davide che ha espugnato la città santa, con la sua morte e risurrezione. Obbedendo al progetto divino il Cristo, Figlio d’uomo, conquista la Sion celeste, nelle sue vesti di giudice universale.
- Ap 15,1-8
La successiva visione (15,1-8) nella sfera celeste presenta il segno di sette angeli che recano sette flagelli (plēgas epta)[6]. Siamo nel capitolo più breve dell’Apocalisse, che rappresenta un’introduzione al compiersi dei «sette flagelli» (cf. Ap 16). L’immagine prosegue il precedente motivo del giudizio di Dio e i «flagelli» vanno interpretati come punizioni finalizzate a purificare quanti sono caduti nella schiavitù del male e del peccato. Nel v. 2 appare uno scenario di pace e di armonia, rappresentato da un «mare di cristallo misto a fuoco». Su di esso stavano ritti in piedi «coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome». La visione mostra il primato di coloro che sono stati fedeli all’Agnello e hanno vinto la bestia (potere satanico), non hanno adorato la sua immagine (immagine coniata sulle monete imperiali, che simboleggia il potere economico e commerciale) né la sua persona (il nome e il suo impero distruttivo). Questo popolo di testimoni incorrotti innalza una solenne liturgia di lode e di adorazione nei riguardi dell’Agnello. L’autore collega il canto dei vincitori con quello di Mosè (cf. Es 15,1-21)[7].
Al Signore Dio onnipotente (pantokratōr) si attribuiscono le «opere grandi e mirabili». È Dio a guidare i passi dei giusti e ad illuminare le vie con giustizia e verità. La sottolineatura è riservata ai popoli: Dio è il «re delle genti di ogni tempo» (basileus tōn aiōniōn). Tutti i popoli che si aprono nella fede alla rivelazione della Parola salvifica sono ammessi all’adorazione di Dio (v. 3). Il cantico ribadisce la santità del Signore e tutte le genti (panta ta ethnē) che avranno il timore del suo nome, verranno e si prostreranno davanti a Lui. È questo l’inizio di un «nuovo esodo» che coinvolge l’umanità finalmente liberata dal potere del male e messa in condizione di adorare Dio, salvatore e fonte di ogni giustizia. Nella provvidenza divina si realizza finalmente l’opera della salvezza universale e vengono manifestati «i giudizi di Dio» (v. 4: ta dikaiōmata).
Al cantico di adorazione dell’Agnello nei vv. 5-8 segue l’apertura del tempio e della Tenda della Testimonianza (cf. Es 25,22). La visione presenta un «rito di investitura» simile a quello celebrato in Ap 8,3-5. I sette angeli (cf. v. 1) vestiti in vesti sacerdotali[8] (con tuniche di lino bianco, cinti con cinture d’oro) ricevono da uno dei quattro Viventi «sette coppe d’oro» (epta phialas chrysas) colme dell’ira divina (v. 7) che serviranno ad attivare i sette flagelli. La descrizione ricorda la liturgia del tempio riempito di fumo dell’incenso (cf. 1Re 8,10-11). La simbologia del fumo teofanico richiama la nebulosa presenza (gloria: kabôd) divina e la sua trascendenza misteriosa. L’autore conclude il capitolo affermando che «nessuno poteva entrare nel tempio finché non fossero compiuti i sette flagelli dei sette angeli». Viene dichiarata l’inevitabilità del giudizio divino[9].
La descrizione della scena contiene un messaggio chiaro: il compimento del giudizio («ira di Dio») nei riguardi dell’umanità peccatrice è frutto della decisione del Signore e le «piaghe» che saranno riversate sull’umanità attraverso le sette coppe provengono dal santuario di Dio. Alla comunità giovannea segnata dalla persecuzione a causa della testimonianza del Vangelo giunge un messaggio di speranza e di consolazione: il giudizio divino sta per compiersi e finalmente si realizza la vittoria dei credenti.
f Messaggio:
Sulla base dell’analisi dei due brani (Ap 14,14-20; 15,1-8) segnaliamo quattro motivi teologici che riassumono il messaggio dei testi proposti e aprono la strada alla loro attualizzazione: 1) Saper accogliere il giudizio di Dio; 3) La pedagogia delle «piaghe» della vita; 3) L’importanza della preghiera di lode e di adorazione; 4) La salvezza è aperta a tutti i popoli.
1) L’inesorabile sviluppo della storia umana volge verso il suo termine e contestualmente verso il giudizio di Dio. Nel «Simbolo Apostolico» si afferma che Cristo nella sua parusia «verrà a giudicare i vivi e i morti». Tale «giudizio» implica un approfondimento non solo sul versante teologico ed escatologico, ma anche su quello antropologico. Sul versante teologico la rivelazione biblica conferma che il termine di ogni realtà umana è segnato dalla parusia, cioè dalla venuta finale del Cristo (cf. Mt 25,31-46). Egli è l’eschaton e nella sua apparizione gloriosa vi sarà il giudizio universale. I morti risorgeranno con il loro corpo glorificato e ogni persona riceverà la destinazione finale verso la beatitudine (paradiso) o la lontananza da Dio (inferno)[10]. Sul versante antropologico il giudizio finale implica il compimento delle storie di libertà vissute da ogni uomo. Esso comporta «il rendersi consapevoli della qualità etica di queste storie di fronte a Dio». Le due pagine di Ap 14-15 ci aiutano a comprendere con il loro linguaggio simbolico la serietà del giudizio dell’Onnipotente e il rispetto della libertà umana, su cui si orienta il senso della vita di ciascuna persona. Il credente non può eludere la realtà del giudizio finale, ma deve saper attendere con profondo senso religioso l’incontro con Cristo, Signore e giudice della storia.
2) Colpisce l’immagine dei sette angeli che sono inviati da Dio per realizzare la loro missione sulla terra. Essi recano «sette flagelli» e il loro compito consiste nel colpire il male con le piaghe. Questa missione richiede un approfondimento sul modo con cui Dio interviene nella storia. L’autore prende spunto dal racconto delle «piaghe d’Egitto» (cf. Es 6-9) per applicare il suo messaggio al contesto di prova che sta vivendo la comunità giovannea. Rileggendo il simbolismo delle piaghe nella tradizione dell’esodo occorre decodificare il linguaggio catastrofico del genere apocalittico e saper cogliere il valore positivo dell’intervento divino. I flagelli e le loro piaghe vanno interpretate con il significato di «castigo pedagogico». Nel contesto ecclesiale a cui fa riferimento l’autore dell’Apocalisse, il messaggio che si intende comunicare riguarda la «pedagogia di Dio». Questa interpretazione è in linea con quanto affermato in Ap 3,19: «Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo». Nella stessa linea si colloca l’affermazione di Eb 12,6: «il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli». Le prove che il Signore permette fanno parte del cammino di maturazione che i credenti sono chiamati a vivere nel contesto della loro missione nella storia.
3) Un terzo motivo è rappresentato dal ruolo della preghiera e dell’adorazione. In Ap 15,3-5 si riporta il canto dell’Agnello collegato con il canto di Mosè. Il contesto liturgico in cui è inserito il cantico esalta il valore della preghiera vissuta dall’intera comunità. Nel nostro testo si tratta di una preghiera di lode rivolta a Dio Onnipotente per le opere grandi e mirabili da lui compiute. Nella tradizione anticotestamentaria ci sono diversi esempi di lodi che la comunità di Israele innalza a Dio[11]. L’esperienza della preghiera è fondamentale per crescere nel cammino di fede sul piano personale e comunitario. Alla preghiera di lode si collega quella di «adorazione». Attraverso l’adorazione il credente si riconosce creatura davanti al suo Creatore. Nell’adorazione si riconosce la grandezza del Signore che ha creato il mondo e l’uomo e si conferma la fiducia nell’onnipotenza del Salvatore che libera dal male[12].
4) I due testi che abbiamo approfondino evidenziano due concetti collegati: il giudizio di Dio su tutti i popoli e insieme l’universalità della salvezza per tutte le genti. La paternità di Dio e il suo amore misericordioso si estendono ad ogni persona. A partire da questa verità l’autore giovanneo prospetta, attraverso le suggestive immagini proposte, l’attuarsi del progetto divino che coinvolge l’intera umanità. La prospettiva universale della salvezza è attestata sia nelle lettere paoline (cf. Col; Ef; Lettere Pastorali) che nell’opera lucana (Vangelo ed Atti). L’incarnazione del Figlio, la sua missione e il dono della sua morte e risurrezione porta a compimento la vittoria sul peccato e sulla morte, schiudendo le porte alla vita eterna nel Regno di Dio. In conseguenza di tale motivo, lo sviluppo dell’evangelizzazione verso gli estremi confini della terra (cf. Mt 28,19-20) è una prerogativa che caratterizza la missione della Chiesa nel corso della sua storia.
*** Domande
- Quale consapevolezza oggi si avverte tra i credenti del giudizio di Dio? Come viene presentato il giudizio di Dio e quale immagine di Dio si recepisce tra i credenti?
- Come far maturare nelle nostre comunità l’esercizio della virtù della speranza? Le prove e le difficoltà che segnano la vita dei singoli credenti vanno comprese nel più grande progetto di salvezza: come aiutare ad accettare nella fede le prove che Dio ci manda?
- Quale importanza assume la «preghiera» per la vita dei credenti? Ritieni che si dovrebbero offrire proposte e itinerari per crescere nell’arte dell’orazione, della meditazione e della preghiera? Che posto ha l’adorazione eucaristica nelle nostre comunità?
- L’apertura della salvezza a tutti i popoli implica una preparazione adeguata e finalizzata all’evangelizzazione di quanti sono lontani da un cammino di fede. In che modo oggi noi raggiungiamo le persone lontane? Come li aiutiamo a scoprire la bellezza e la gioia di credere in Dio e nel suo Vangelo?
[1] Il testo di Dn 7,13-14 recita: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto». Va notato come l’interpretazione simbolica del «Figlio d’uomo» sia molto simile a quella adottata nel Quarto Vangelo (cf. Gv 15,27).
[2] Il colore bianco caratterizza la risurrezione: così il cavallo bianco del primo sigillo (Ap 6,2) e il cavallo del Logos divino (19,11).
[3] L’oracolo del profeta Gioele contiene il motivo del giudizio dei popoli e utilizza le medesime immagini. Gl 4,9-13 recita: «9Proclamate questo fra le genti: preparatevi per la guerra, incitate i prodi, vengano, salgano tutti i guerrieri. 10Con i vostri vomeri fatevi spade e lance con le vostre falci; anche il più debole dica: «Io sono un guerriero!». 11Svelte, venite, o nazioni tutte dei dintorni, e radunatevi là! Signore, fa’ scendere i tuoi prodi! 12Si affrettino e salgano le nazioni alla valle di Giosafat, poiché lì sederò per giudicare tutte le nazioni dei dintorni. 13Date mano alla falce, perché la messe è matura; venite, pigiate, perché il torchio è pieno e i tini traboccano, poiché grande è la loro malvagità!».
[4] La relazione tra uva / mostro e sangue ritorna in Gen 49,11; Dt 32,14.
[5] Il numero simbolico di 1600 è probabilmente da interpretare nella sua scomposizione di 4 x 4 x 100, rileggendo in questo simbolo aritmetico il significato dell’universo (il numero 4 indica la dimensione del mondo creato). In tal senso l’offerta sacrificale di Cristo raggiunge tutti gli uomini fino all’estremità della terra per donare loro la salvezza con il suo sangue; cf. Doglio, La testimonianza del discepolo, 317.
[6] L’immagine delle «sette piaghe» assume un valore escatologico e richiama le calamità che Yhwh ha suscitato contro il potere idolatrico dell’Egitto e del suo faraone. Più che una catastrofe drammatica, il simbolo delle sette piaghe va interpretato nella linea di un «castigo pedagogico», una sorta di lezione finalizzata ad un cambiamento di vita.
[7] In testo di Ap 15,3-4 più che al cantico di Mosè in Es 15, sembra frutto di una riformulazione liturgica che attinge a diverse contesti anticotestamentari: cf. Dt 32,4; Sal 86,9; Ger 10,6-7.
[8] I commentatori ricordano le vesti sacerdotali di lino nel contesto della liturgia del Kippur (cf. Lv 16,4).
[9] L’impiego del verbo teleō (finire, portare a termine) in 15,8 richiama l’ultima parola di Cristo prima di spirare sulla croce (Gv 19,30) e lo stesso verbo che presenta la settima tromba come compimento del mistero di Dio (Ap 10,7).
[10] CCC, n. 1040: «Il giudizio finale avverrà al momento del ritorno glorioso di Cristo. Soltanto il Padre ne conosce l’ora e il giorno, egli solo decide circa la sua venuta. Per mezzo del suo Figlio Gesù pronunzierà allora la sua parola definitiva su tutta la storia. Conosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia della salvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la provvidenza divina avrà condotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà che la giustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amore è più forte della morte».
[11] Cf. Sal 28; 29; 96; 103; 104; 121; 145.
[12] Cf. CCC, n. 2628.