Invocazione allo Spirito Santo
O Spirito Santo, anima dell’anima mia,
in te solo posso esclamare: Abbà, Padre.
Sei tu, o Spirito di Dio,
che mi rendi capace di chiedere
e mi suggerisci che cosa chiedere.
O Spirito d’amore, suscita in me
il desiderio di camminare con Dio:
solo tu lo puoi suscitare.
O Spirito di santità,
tu scruti le profondità dell’anima nella quale abiti,
e non sopporti in lei neppure le minime imperfezioni:
bruciale in me, tutte, con il fuoco del tuo amore.
O Spirito dolce e soave,
orienta sempre più la mia volontà verso la tua,
perché la possa conoscere chiaramente,
amare ardentemente e compiere efficacemente.
Ambientazione
Il contenuto della nostra preghiera si inserisce nuovamente nell’orizzonte del segno della moltiplicazione dei pani, questa volta nel contesto del vangelo di Matteo. Egli narra quest’opera straordinaria di Gesù, che sfama la folla di “circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini” (14, 21b), subito dopo il racconto del martirio di Giovanni Battista. Con il segno dei cinque pani e due pesci che nutrono la folla, dunque, si descrive la presa di coscienza di Gesù di essere davvero colui che porta a compimento l’annuncio di salvezza del profeta. L’agire messianico di Gesù si concretizza nel prendersi cura, con gesti e parole, della “grande folla”, verso la quale “sentì compassione” (14,14).
Gesù vuole coinvolgere i suoi discepoli in questa missione: “voi stessi date loro da mangiare!” (14,16b). Ma questa iniziativa del Maestro non suscita particolare entusiasmo fra i suoi, nonostante l’esito positivo e fecondo dell’avvenimento. È a questo punto che si inserisce il brano proposto alla nostra meditazione, nel quale il Signore si congeda dalla folla e si ritira in preghiera, per poi presentarsi in maniera prodigiosa ai discepoli, che nel frattempo sono partiti in barca verso l’altra riva.
Sempre, dopo l’agire, è importante soffermarsi per riflettere su quanto è accaduto nell’intimo di ciascuno, e verificare cosa si sia mosso a livello di coscienza e di motivazioni. Gesù pare voler mettere alla prova i discepoli, perché emergano i pensieri nascosti, suscitati dal segno messianico appena accaduto. E la reazione degli apostoli, che vedono Gesù avvicinarsi a loro camminando sulle acque, mentre il mare è in tempesta, in qualche modo sconcerta: lo scambiano per un fantasma, e si spaventano. L’arrivo del Signore genera paura più ancora che il turbinio delle mareggiate.
Appare incredibile come si sia più propensi a credere all’esistenza dei fantasmi, piuttosto che alla potenza di Dio! Probabilmente, sembra meno impegnativo tenere a bada un fantasma, rifugiandosi nelle proprie paure, che avere a che fare con un Signore che interpella, scuote, coinvolge e sollecita a condividere con lui la missione di prendersi cura del popolo. Gesù rimprovera Pietro, che dopo aver camminato sulle acque verso di Lui, dubita e sprofonda nel mare e nella paura. La mancanza di fede si manifesta nell’incapacità di camminare dentro le intemperie e gli ostacoli della vita.
Dal Vangelo secondo Matteo (14,22-36)
Testo CEI 2008
In quel tempo, Gesù 22costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!». 34Compiuta la traversata, approdarono a Gennesaret. 35E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati 36e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti».
Testo TILC
22Subito dopo Gesù ordinò ai discepoli di salire in barca e di andare sull’altra riva del lago. Egli intanto avrebbe rimandato a casa la gente. 23Dopo averla rimandata salì da solo sul monte a pregare.
Venne la notte, e Gesù era ancora là, solo. 24La barca era già molto lontana dalla spiaggia, ma aveva il vento contrario ed era sbattuta dalle onde.
25Sul finire della notte, Gesù andò verso i suoi discepoli camminando sul lago. 26Quando essi lo videro camminare sull’acqua si spaventarono. Dicevano:
– È un fantasma! – e gridavano di paura.
27Ma subito Gesù parlò:
– Coraggio, sono io! Non abbiate paura!
28Pietro rispose:
– Signore, se sei tu, dimmi di venire verso di te, sull’acqua.
29E Gesù gli disse:
– Vieni!
Pietro allora scese dalla barca e cominciò a camminare sull’acqua verso Gesù.
30Ma vedendo la forza del vento, ebbe paura, cominciò ad affondare e gridò:
– Signore! Salvami!
31Gesù lo afferrò con la mano e gli disse:
– Uomo di poca fede, perché hai dubitato?
32Quando salirono insieme nella barca il vento cessò. 33Allora gli altri che erano nella barca si misero in ginocchio di fronte a Gesù e dissero: ‘Tu sei veramente il Figlio di Dio!’.
34Attraversato il lago arrivarono nella regione di Genèsaret. 35La gente del posto riconobbe Gesù e tutto intorno si sparse la voce che egli era arrivato. Allora gli portarono i loro malati, 36e lo supplicarono di permettere che gli toccassero almeno l’orlo del mantello. E tutti quelli che lo toccavano erano guariti.
Meditazione.
Una vita spirituale mediocre e superficiale, una fede “all’acqua di rose”, un rapporto con Dio incapace di penetrare le profondità del proprio cuore hanno come conseguenza una vita cristiana senza entusiasmi e autoreferenziale. Molto della crisi che vive la Chiesa nel mondo contemporaneo ha a che vedere con una poca attenzione alla cura della vita nello Spirito. In questo periodo dell’anno pastorale, poi, si possono percepire con più forza momenti di scoramento, a causa della delusione che può affiorare per le poche gratificazioni e il senso di disinteresse verso “le cose di Dio” da parte dei destinatari del nostro servizio. A questo punto, è necessario prendere coscienza della tentazione insidiosa che può insinuarsi nei nostri cuori, e che papa Francesco evidenzia con lucidità: “quando abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo, molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero. Oggi, per esempio, è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni. Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale” (EG 81).
È importante non relegare tali rischi a una questione di stanchezza momentanea, e vigilare affinché non siamo catturati dal terribile vizio dell’accidia, che è una manifestazione di egoismo mascherato a volte di buon senso. In realtà, alla radice vi è un “bisogno imperioso di preservare i [propri] spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi” (EG 81). Si affaccia l’idea che l’impegno pastorale sia una questione da gestire in base ai propri gusti, svincolati dalle relazioni condizionanti con Dio e con la comunità. Ci si nasconde dietro l’ipotesi che le esigenze siano eccessive, e provengano dalle manie dei preti o dei responsabili.
Ma in realtà, “il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata” (EG 82). L’antidoto è quindi quello di coltivare un rapporto autentico con Dio e con i fratelli della comunità, che preservi da falsi miti e smascheri i fantasmi con cui riempiamo la nostra testa di aspettative fasulle e di programmi impraticabili. Insieme, si potrà attraversare il mare mosso dell’impegno pastorale senza perdere la gioia per la missione.
Conclusione.
Per crescere, chiediamoci:
– Come vivo il mio impegno nelle attività pastorali che mi sono affidate? Sento entusiasmo, passione, interesse, o mi considero solamente costretto a mettere in pratica idee e progetti di altri?
– Quale stanchezza sento nella mia vita? Quella grata e gioiosa di chi sa di avere fatto la volontà di Dio, o quella triste e amareggiata di chi non crede più in ciò che fa?
Invochiamo con fiducia:
Signore Gesù, conserva nel nostro cuore la passione viva
per il servizio al vangelo nella comunità che ci hai donato e affidato,
in cui ci chiami a seminare gioia nella vita degli altri.