
🔥 Invocazione dello Spirito Santo:
O Dio, che hai promesso di stabilire la tua dimora
in quanti ascoltano la tua parola e la mettono in pratica,
manda il tuo Spirito, perché richiami al nostro cuore
tutto quello che il Cristo ha fatto e insegnato,
e ci renda capaci di amarci gli uni gli altri
come lui ci ha amati. (dal Messale Romano)
✎ Ambientazione:
Il libro giovanneo esordisce con un prologo (Ap 1,1-3) in cui si presenta la «rivelazione di Gesù Cristo». Dio Padre ha consegnato questa rivelazione per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere. Il primo destinatario di questa rivelazione è Giovanni. Egli accoglie la Parola di Dio e testimonia ciò che ha visto. Quanti leggeranno, ascolteranno e custodiranno queste parole saranno «beati».
Nei vv. 4-8 Giovanni si rivolge alla «sette chiese» che sono in Asia e le saluta da parte dei «sette spiriti» e di Gesù Cristo, definito con tre titoli: «testimone fedele», «primogenito dei morti» e «sovrano dei re della terra» (v. 5). Segue una prima solenne dossologia in cui si presenta il Signore che riassume in sé tutte le attese deli credenti e porta a compimento il progetto di Dio.
Nei vv. 9-20 è riportata la visione introduttiva. Il racconto della visione è articolato in tre unità. La prima unità (vv. 9-11) presenta Giovanni come il protagonista che narra la sua esperienza mistica, avvenuta nell’isola di Patmos nel giorno del Signore. Egli sente una voce che lo invita a scrivere quanto gli sarà dato di vedere e a trasmettere la sua testimonianza alla sette Chiese: Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea. La seconda unità (vv. vv 12-16) descrive la visione caratterizzata da alcuni elementi simbolici: nel contesto di una liturgia Giovanni vede sette candelabri d’oro e in mezzo ad essi la figura di un personaggio simile ad un «Figlio d’uomo» con alcune caratteristiche: abito lungo fino ai piedi, cinto al petto con una fascia d’oro, aveva capelli candidi, gli occhi erano come fiamma di fuoco, i piedi come bronzo splendente, la voce simile al fragore di grandi acque. Questo personaggio teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata. Il suo volto era come il sole.
La terza unità (vv. 17-20) indica la reazione del veggente: egli cade ai piedi del personaggio ma subito riceve una rassicurazione. Il personaggio gli dice di non temere si presenta come il Vivente, che era morto e ora vive pe sempre. Egli possiede «le chiavi della morte e degli inferi» (v. 18). Alla rassicurazione segue la missione del veggente: egli deve scrivere quanto ha visto e vedrà in seguito. La visione si chiude con l’interpretazione dei simboli dei sette candelabri e delle sete stelle: esse rappresentano le sette Chiese con i loro «angeli».
📖 Brano della Scrittura: Ap 1,1-20
1Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. Ed egli la manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, 2il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto. 3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino.
4Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, e dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, 5e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, 6che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
7Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto. Sì, Amen! 8Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente! 9Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. 10Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: 11«Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea».
12Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro 13e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. 14I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco. 15I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque. 16Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza.
17Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, 18e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. 19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito. 20Il senso nascosto delle sette stelle, che hai visto nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro è questo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette Chiese.
🔍 Approfondimento esegetico:
La parola «rivelazione» (apokalypsis) apre il nostro commento. L’atto di rivelare da parte di Dio implica un doppio movimento: a) togliere il velo che copre il volto di Dio (svelare) in vista della sua comunicazione / comprensione rivolta all’uomo: b) riporre il velo sull’identità divina per far comprendere il limite dell’essere umano nei confronti dall’Onnipotente. Comprendiamo come la vita dei credenti è caratterizzata dalla «ricerca di Dio», che ci parla nell’oggi della storia, ma rimane sempre per noi mistero da desiderare e cercare. Infatti «nessuno può vedere il mio volto e restare in vita» (Es 33,20). La rivelazione è un dono di amore che, nella sua condiscendenza, Dio vuole offrire all’uomo, realizzando un’amicizia profonda, che supera i limiti della fragilità e della morte. Fin dall’inizio del libro è necessario cogliere la progettualità della rivelazione di Dio: il mistero del Creatore si comunica alla realtà limitata e finita delle creature.
Questo processo avviene in Gesù Cristo (v. 1). Pertanto l’unico mediatore del mistero e del progetto salvifico del Padre è il Figlio amato, il crocifisso risorto che vive per sempre. Egli è l’unico che può svolgere la «mediazione» tra Dio e l’umanità, fornendo la vera interpretazione della storia umana, sia nel passato che nel futuro. Si parla dei «fatti che devono accadere tra breve» (v. 1). L’espressione riprende la visione di Dn 2,1-45 in cui si narra del sogno di Nabucodonosor e dell’interpretazione del profeta Daniele. La finalità del libro è decisamente positiva, perché offre ai credenti immagini e simboli che aiutano ad interpretare lo svolgimento della storia nell’ottica della speranza e della vittoria della vita sulla morte, del bene sul male. Per questa ragione chi legge e chi ascolta questo libro profetico è «beato» (cioè «felice», partecipe della felicità di Dio) e si prepara ad affrontare la vita con la consapevolezza che il tempo del compimento è vicino (v. 3).
La forma letteraria della comunicazione del mistero utilizzata dall’autore giovanneo è la «lettera». Nella prima parte del libro (Ap 1-3) vengono indirizzate «sette lettere» alle rispettive Chiese dell’Asia proconsolare. La forma epistolare viene scelta per esprimere in forma diretta e familiare per veicolare un giudizio sulla vita delle singole comunità cristiane e per affidare loro l’impegno di convertirsi e di maturare una credibile testimonianza evangelica.
Nei vv. 4-8 troviamo la menzione delle «sette Chiese» destinatarie delle lettere (cf. Ap 22,16). Giovanni è chiamato a fare da mediatore tra le visioni/rivelazioni che riceve da Dio» e le comunità destinatarie. Abbiamo segnalato come il simbolismo numerico contiene un messaggio profondo. Con il numero «sette» si intende esprime la pienezza, la totalità della Chiesa. In realtà ile raccomandazioni dirette alle sette Chiese riassumono un unico messaggio che è valido per tutti i credenti dovunque essi si trovano a vivere e ad operare. Vedremo come questo messaggio è ricco di speranza, di incoraggiamento e di sostengo per testimoniare la bellezza e la gioia di essere cristiani, anche in mezzo a persecuzioni e incomprensioni.
Il centro della «rivelazione» è la persona di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. A lui occorre fissare lo sguardo per credere e accogliere il messaggio di speranza e di salvezza. Inquadrato in un dialogo liturgico si coglie nei vv. 4-8 la ricchezza dei titoli e dei simboli che delineano la figura di Gesù. Queste immagini sono in gran parte riprese da diversi contesti dell’Antico Testamento, riflettono le prospettive cristologiche del Vangelo e vengono applicate alla comunità, alla luce della fede nel «mistero pasquale». Fermiamo l’attenzione su sei immagini che tratteggiano la «signoria» di Cristo: egli è testimone fedele, primogenito dei morti, sovrano dei re della terra, l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente.
Nel definire Gesù Cristo «testimone fedele» si accentua il valore della testimonianza cristiana che si fonda sulla fiducia e sulla credibilità. La seconda denominazione è «primogenito dei morti», espressione che evoca la dimensione «pasquale» di Gesù, che è nato da Maria Vergine come «primogenito» (Lc 2,6) e risorge dalla morte, portando a compimento la salvezza (cf. 1Cor 15,20; Col 1,18). Gesù è inoltre il «sovrano dei re della terra» (cf. Sal 89,28) in grado di guidare come «buon pastore» le sorti dell’umanità verso un destino di felicità (cf. Sal 23). Le successive due definizioni riguardano il valore del tempo e della creazione. Gesù è «l’Alfa e l’Omèga», perché con la sua azione rivela l’origine del mondo (cf. Gv 1,1) e determina la fine del tempo (At 1,11; Mt 25,31-46). Egli è il Figlio eternamente presente, l’essere sussistente «che è, che era e che viene». Infine Gesù si rivela come «l’Onnipotente», venuto nel mondo per compiere la volontà del Padre (Gv 4,31-34; 6,30).
Il veggente, che si era già presentato al v. 4, ora si fa conoscere meglio ai suoi destinatari e ai lettori utilizzando la seconda persona plurale («voi»), egli è «fratello» nell’ambito dell’appartenenza ecclesiale e «compagno nella tribolazione e nella perseveranza in Gesù», in quanto perseguitato come gli altri credenti della comunità. Deportato nell’isola egea di Patmos, di fronte alle coste efesine, è lì a motivo della testimonianza di Gesù. Il libro dell’Apocalisse nasce dal «martirio», dal coraggio dei credenti che pagano di persona perché sono cristiani e vivono nello stile del Vangelo.
Nel v. 10 si sottolinea come Giovanni «è preso dallo Spirito», similmente all’esperienza dei profeti anticotestamentari. L’espressione potrebbe indicare una condizione «estatica» che coinvolge l’intera persona di Giovanni. Avvinto dall’amore luminoso di Dio, il veggente si sente chiamato da una «voce» potente come una tromba. È la voce celeste che coinvolge Giovanni in una singolare esperienza mistica che consiste nel vivere «la presenza di Dio che si rivela» e nel comporre una testimonianza scritta, il cui messaggio rivelato finale deve essere inviato alle sette Chiese (v. 11). Va notato come che Giovanni designa il suo «scritto» con nomi diversi. Lo definisce una «rivelazione», termine che indica l’origine del messaggio e la sua autorevolezza: viene da Dio, non da speculazioni umane. Egli dice che il suo scritto è una «profezia», in quanto aiuta a decifrare la realtà presente nell’ottica divina. Infine la sua composizione è una «testimonianza», cioè è frutto di un’esperienza personale, che egli tramette a favore della comunità.
Nei vv. 12-16 si descrive in prima persona la singolare visione che appare a Giovanni. Essa è centrata sulla figura del Cristo, che è presente in piedi, nelle sembianze di un «Figlio d’uomo», tra sette candelabri. Questa figura è descritta con un abito lungo fino ai piedi, cinto al petto con una fascia d’oro, ha capelli candidi come la neve, occhi come fiamma di fuoco piedi come di bronzo splendente purificato nel crogiuolo.
Le immagini segnalate richiamano testi e contesti dell’Antico Testamento. I “sette candelabri” sono le sette Chiese, che poco prima sono state nominate e nelle quali è rappresentata l’intera Chiesa pellegrina nel tempo e lungo le strade del mondo. In mezzo ai candelabri egli vede “uno simile a un Figlio d’uomo”. Questi è in mezzo alla Chiese e alla Chiesa, ne è il cuore e il fondamento.
Nella Chiesa Egli ne è la stabilità, il sostegno, il pilastro. Per questo viene descritto come colui che è “in mezzo”, dando il senso dell’immobilità e della fermezza. D’altra parte, egli si muove in mezzo ai candelabri, in mezzo alla Chiese, a indicare la Sua visita di conforto e di ispirazione. Se “gli occhi come di fiamma di fuoco” richiamano la mobilità e la capacità di comunicare la sua presenza sempre e ovunque, i piedi che hanno “l’aspetto del bronzo” richiamano invece la stabilità.
Il Figlio d’uomo è un personaggio certamente straordinario: “l’abito lungo fino ai piedi” è tipicamente sacerdotale, mentre la “fascia d’oro” allude all’abbigliamento che è proprio del sovrano. Sacerdozio e regalità, quindi, sono le prerogative del Figlio d’uomo. La sua signoria riguarda tutte le creature e, tra di esse, quella creatura che è il tempo. Il personaggio è descritto con i “capelli candidi”, allusione a un’eternità che gli è propria e in virtù della quale egli contiene in sé il corso della storia umana (cf Dn 7, 9). La voce del Figlio d’uomo “è simile al fragore di grandi acque” (cf. Ez 43, 2; Sal 93, 4). La sovrabbondante sonorità, qui presentata, indica la volontà di comunicare e coincide con la profondità del silenzio.
Nella mano destra il personaggio “sette stelle” (v. 16). Anche in questa occasione abbiamo un riferimento alla Chiesa. Se i sette candelabri sono l’immagine della Chiesa pellegrina nel tempo, le sette stelle sono l’immagine della Chiesa del Cielo. Il Figlio d’uomo si muove tra i sette candelabri, là dove la Chiesa svolge la sua missione; egli, poi, tiene nella mano destra le sette stelle, a significare la sua custodia della Chiesa nella dimensione ultraterrena. Il Figlio d’uomo parla alla Chiesa con una parola che esce dalla bocca come “spada affilata, a doppio taglio”. Si tratta di una parola mirata, precisa che entra in profondità. Il Suo volto è “come il sole”. Alla parola si aggiunge lo sguardo. Così abbiamo gli elementi essenziali del volto: bocca e occhi. Tutto intende trasmettere la presenza fedele e amorevole del Figlio d’uomo in mezzo alla Chiesa.
Nei vv. 17-20 si descrive la reazione di Giovanni. Egli cade come morto ai suoi piedi (v. 17).
Ma la stessa mano, la destra, che tiene le sette stelle, ora si posa sul capo del veggente. Il Figlio d’uomo si rivela come il Signore risorto da morte, centro e senso di tutta la storia. Per questo Giovanni non deve temere. Non deve temere a motivo di ciò che ha visto e non deve temere di svolgere la missione che gli viene affidata. Nel contesto della celebrazione eucaristica, Giovanni ha avuto una particolare esperienza di Dio. Immergendosi, per grazia, nel mistero pasquale, vi ha trovato i motivi della consolazione e della speranza che ora deve comunicare a tutti. Anche nel tempo della persecuzione la Chiesa vive fiduciosa. Cristo ha già vinto la lotta contro il potere delle tenebre. Egli è il Vivente che accompagna tutti noi nel pellegrinaggio della vita verso il Regno dei cieli.
📣 Messaggio:
Segnaliamo alcuni aspetti conclusivi, che ci permettono di approfondire il messaggio del brano e di cogliere applicazioni per il nostro cammino spirituale. Indichiamo quattro aspetti: 1) Il primato della Parola di Dio; 2) La centralità della Celebrazione domenicale; 3) La relazione tra i cristiani e la loro testimonianza nel mondo; 4) Servire il prossimo con la mansuetudine di Cristo.
- La lettura di Ap 1,1-20 ci insegna a saper interpretare la nostra vita alla luce della Parola di Dio. Il libro ispirato è il dono che il Signore ha fatto ai credenti. Educare all’ascolto religioso della Sua Parola è il primo compito che ci coinvolge nel cammino ecclesiale, a tutti i livelli. Occorre essere «mediatori» della Parola di salvezza. In modo particolare l’educazione all’ascolto inizia con il sostengo alle famiglie. La Chiesa, «famiglia di famiglie» diventa una scuola di ascolto e di fraternità. Nel libro dell’Apocalisse si percepisce fin dall’inizio il «dialogo liturgico» che coinvolge la comunità nell’ascolto della Parola e nella condizione della vita fraterna. Questo avviene in particolare quando la comunità sperimenta le difficoltà e le persecuzioni.
- Riscopriamo l’importanza della celebrazione domenicale. La Celebrazione eucaristica è per noi il luogo privilegiato dell’incontro con il Signore risorto da morte e, pertanto, l’occasione di grazia nella quale possiamo rileggere nella fede tutta la nostra vita, fatti piccoli e grandi, e la vita della Chiesa e del mondo. Tutti noi siamo chiamati a partecipare con assiduità alla santa Messa, che dà forma alla vita cristiana, fa entrare in comunione con il pensiero di Cristo e dona a noi il giudizio della fede sulle realtà del mondo. Non può esservi vita cristiana senza la Messa, perché non può esservi vita cristiana senza una relazione viva con Gesù risorto. L’Eucaristia è l’oggi del mistero pasquale per noi, è il dono della redenzione e della vita nuova in Cristo, grazie al quale impariamo a vivere la Sua stessa vita, a gloria di Dio Padre per la salvezza del mondo.
- La Chiesa è la presenza di Cristo nel «mondo». Non si possono mai separare Cristo e la Chiesa. Una volta salito al Cielo, il Signore ha voluto assicurare la Sua fedele presenza fino alla fine del mondo per il tramite della Chiesa. In Lei è la Parola di Verità, in Lei sono i Sacramenti che comunicano la Vita nuova dei figli di Dio, in Lei è la pienezza dei mezzi di grazia, in Lei è il Corpo di Cristo che ancora adesso tocca le nostre esistenze per farci partecipi della vittoria sul peccato e sulla morte. Amare la Chiesa significa amare il Signore. Non cadiamo mai nella tentazione di separare Cristo dalla Chiesa. Non lasciamoci contagiare dalla cattiva abitudine a parlare male della Chiesa. La Chiesa è la Sposa bella e immacolata che Cristo ha acquistato a prezzo del Suo sangue. Siamo noi che con il nostro peccato la rendiamo meno bella. Ma ciò che in noi è peccato non Le appartiene.
- Con l’aiuto dell’Apocalisse, pensiamo alla mano destra del Signore che accarezza la Sua Chiesa e, attraverso la Sua Chiesa, accarezza tutti noi. Quella mano del testo sacro ha la capacità di comunicarci una grande fiducia: proprio perché tenuta dalla mano di Cristo, la Chiesa non ha nulla da temere. E noi con Lei e in Lei. Se stiamo con Gesù non dobbiamo avere paura, mai e di nulla. Egli ha vinto il peccato e la morte. Egli è il primo e l’ultimo, il significato di tutto e il senso compiuto della nostra esistenza. Egli è l’Amore fedele che mai viene meno. Egli è il nostro passato d’amore, perché da Lui veniamo; il nostro presente d’amore, perché in Lui siamo; il nostro domani d’amore, perché in Lui vivremo per sempre.
❓ Domande
- Come viviamo l’ascolto reciproco? Come educhiamo all’ascolto dell’altro e della Parola di Dio? Sussiste una relazione stretta tra l’ascolto e la condivisione fraterna? Come svolgiamo il compito di «mediatori» della Parola di vita?
- Sentiamo l’importanza della Celebrazione domenicale per crescere nella vita spirituale e nell’esperienza comunitaria? In che modo ci prepariamo a vivere la domenica e quale posto ricopre l’incontro con Cristo nell’Eucaristia?
- In che modo possiamo raggiungere le persone che sono indifferenti e lontane dal cammino di fede? Siamo chiamati a stare «nel mondo» per amare appassionatamente nello stile del Vangelo. Come viviamo oggi la nostra «vocazione» di laici impegnati? In che campo possiamo dare maggiormente il nostro contributo per sostenere la crescita delle nostre comunità?
- Vivere il servizio verso il prossimo con la mansuetudine di Cristo. Il segno della mano che incoraggia il veggente e lo conforma rappresenta per noi oggi un simbolo per non scoraggiarci di fronte alle difficoltà. Siamo consapevoli dell’importanza del nostro servizio di aiuto e di consolazione? Con quale logica collaboriamo nei progetti comuni e facciamo la nostra parte per contribuire a far maturare uno stile di comunione e di rispetto? In quali ambiti possiamo migliorare il nostro servizio verso il prossimo?
La lectio divina di quest’anno è stata curata per la Diocesi da don Giuseppe De Virgilio, biblista.