🔥 Invocazione dello Spirito Santo:
Spirito che aleggi sulle acque,
calma in noi le dissonanze,
i flutti inquieti, il rumore delle parole,
i turbini di vanità,
e fa sorgere nel silenzio
la Parola che ci ricrea.
Spirito che in un sospiro sussurri
al nostro spirito il Nome del Padre,
vieni a radunare tutti i nostri desideri,
falli crescere in fascio di luce
che sia risposta alla tua luce,
la Parola del Giorno nuovo.
Spirito di Dio, linfa d’amore
dell’albero immenso su cui ci innesti,
che tutti i nostri fratelli
ci appaiano come un dono
nel grande Corpo in cui matura
la Parola di comunione.
(Frère Pierre-Yves di Taizé)
✎ Ambientazione:
Dopo aver approfondito il prologo liturgico (Ap 1,1-3) e la «visione inaugurale» (1,4-20) in cui si annunciava una rivelazione divina da trascrivere in un libro e inviarlo alle sette Chiese dell’Asia proconsolare, in Ap 2-3 vengono riportate le singole rivelazioni in forma di comunicazione epistolare. Fermiamo l’attenzione su questi due capitoli che costituiscono una sezione importante del nostro libro e presentano la realtà, le sfide, le problematiche e le positività delle singole comunità destinatarie. La sezione di Ap 2-3 è stata studiata approfonditamente per la sua peculiare articolazione interna, che ci permette di conoscere non solo gli aspetti letterari del brano ma anche la profondità e l’attualità del loro messaggio per il nostro tempo.
La nostra lectio è inserita nel settenario di lettere inviate alle comunità di Efeso (2,1-7); Smirne (2,8-11), Pergamo (2,12-17) Tiatira (2,18-29), Sardi (3,1-6), Filadelfia (3,7-13), Laodicea (3,14-22). Si parla di «sette Chiese» destinatarie delle lettere. Il numero simbolico delle lettere (sette), unicamente alla specificità e alla determinazione propria del loro messaggio per ciascun destinatario, richiamano sia la totalità che la concretezza: esse costituiscono nel loro insieme un messaggio che è per tutta la Chiesa, ma che ciascuna comunità deve calare nel concreto della sua storia. Nelle lettere si esortano i credenti operare un discernimento sul proprio vissuto, lasciandosi illuminare da Gesù Cristo, l’unico Signore della Chiesa. La comunicazione che Giovanni stabilisce con le Chiese ha un valore ministeriale: è il servizio del testimone, tramite il quale il Signore stesso instaura il dialogo di salvezza con le comunità dei suoi servi. Ognuna delle sette lettere presenta uno schema costante, composto di sei elementi: a. l’indirizzo alla Chiesa; b. l’autopresentazione del Signore, che riprende immagini e formule della visione inaugurale; c. il discernimento sulla vita della Chiesa, introdotto dal verbo «conosco»; d. l’esortazione particolare introdotta con il verbo all’imperativo; e. l’invito ad ascoltare lo Spirito he si ripete con la stessa formula («Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese»); f. la promessa un dono in prospettiva escatologica. Prendiamo in considerazione la prima del settenario, indirizzata alla comunità di Efeso (2,1-7).
📖 Brano della Scrittura: Ap 2,1-7
1All’angelo della Chiesa che è a Efeso scrivi:
“Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. 2Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi. Hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. 3Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. 4Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. 5Ricorda dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto. 6Tuttavia hai questo di buono: tu detesti le opere dei nicolaiti, che anch’io detesto. 7Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”.
🔍 Approfondimento esegetico:
Il settenario inizia con la lettera inviata alla comunità che vive ad Efeso. Negli Atti degli Apostoli si ricorda come la città di Efeso fu evangelizzata da Paolo non senza difficoltà e sofferenze (cf. At 19,1-10). Situata sulla costa occidentale dell’Asia minore alla foce del fiume Caistro, Efeso fu una dei più importanti e fiorenti centri urbani dell’impero romano. Nel 133 a.C. la città divenne la capitale della provincia proconsolare dell’Asia minore, ritenuta una delle regioni più produttive dell’impero. Le testimonianze storiche confermano la ricchezza economica di Efeso e la sua importanza politica, culturale e religiosa. Sotto Cesare Augusto Efeso conobbe un periodo di stabilità politica e di prosperità, arrivando a contare una popolazione di circa 250.000 abitanti. Il culto principale degli abitanti efesini riguarda la particolare venerazione di Artemide efesia (Diana efesia), divinità protettrice della città celebrata con riti misterici e magici. Nella prima metà del I sec. d.C. la città continuava a ricoprire un ruolo strategico, soprattutto per il commercio e lo scambio culturale. In questo scenario Paolo, insieme ai suoi collaboratori, svolge la sua impegnativa missione tra il 53 e il 56 d. C. Con la nascita della comunità paolina l’Apostolo prosegue la sua evangelizzazione nei territori dell’Asia minore fino a giungere a Gerusalemme nel In particolare la figura di Timoteo, collaboratore di Paolo, si colloca nella Chiesa efesina. In 1Tm 1,4-7 sappiamo che Paolo raccomanda a Timoteo di difendere il Vangelo contro le eresie che serpeggiavano nell’ambiente di Efeso (cf. 1Tm 4,1-3). Questo dato viene confermato nella tradizione patristica[1]. Per vie diverse nella città si formò anche il gruppo giovanneo e il nome dell’apostolo Giovanni è collegato nell’antica tradizione ad Efeso e alle sue sfide[2].
La lettera si apre con l’indirizzo all’«angelo» (aggelos) della Chiesa di Efeso (v. 1). L’interpretazione della figura angelica non è univoca. La maggioranza dei commentatori vede nella figura dell’angelo il rappresentante della comunità, il responsabile che guida i credenti (vescovo). Altri interpretano la figura angelica come una presenza divina che protegge la vita della Chiesa o la stessa Chiesa. La formula ricorrente consiste nell’invito a «scrivere» il messaggio rivolto ai cristiani della comunità efesina. Va ricordato che lo scritto in forma epistolare implica una conoscenza profonda della realtà ecclesiale. Inviare una lettera significa aprire un dialogo profondo, che reca contenuti precisi nei quali si esprime il sostegno, la vicinanza e il desiderio di. miglioramento della vita cristiana. La comunità è chiamata ad accogliere la lettera e a riflettere sul suo messaggio «per la Chiesa». Il v. 1 prosegue descrivendo la figura di Cristo con i simboli richiamati nella visione iniziale (cf. 1,12.16): «Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro». Il Cristo crocifisso e risorto parla con l’autorità, avendo la pienezza e la forza dello Spirito Santo (tiene [kratōn = possiede con forza] nella destra “sette stelle”). Egli è presente nella vita dei credenti e cammina con loro, conoscendo le difficoltà e apprezzando l’impegno dei credenti di Efeso nel vivere in modo coerente le esigenze del Vangelo. Il camminare di Cristo in mezzo alla comunità allude alla presenza attiva e operante del Signore.
Il v. 2 si apre con il verbo «conosco» (oida) che si ripete nelle altre lettere. La conoscenza della condizione della Chiesa efesina riguarda le opere, la fatica e la perseveranza. Si tratta di tre termini che si spiegano e si arricchiscono a vicenda. Essi descrivono una fede operosa, che sopporta la fatica derivante dalla non facile accoglienza del messaggio cristiano e che matura nell’atteggiamento interiore della perseveranza. La «perseveranza» implica un impegno costante, un operare che scaturisce dalla fedeltà al Signore. Allo stesso tempo si evidenzia come la comunità che vive il Vangelo «non può sopportare i cattivi (kakous). Si allude a figure malvage e negative che si dichiarano «apostoli» ma non lo sono, perché sono state trovate «bugiarde» (pseudeis). Si fa probabilmente riferimento non tanto a figure apostoliche che rappresentavano la Chiesa (cf. 1Cor 11,13), ma predicatori itineranti che propugnavano dottrine diverse dal messaggio cristiano. Più avanti si parlerà di un gruppo eretico denominato «nicolaiti». All’apprezzamento per l’impegno cristiano segue il rimprovero, che ha una finalità pedagogica. Il rimprovero consiste nel denunciare la stanchezza nel vivere l’amore originario: la Chiesa ha abbandonato «il suo amore, il primo» (tēn agapēn… tēn prōtēn)» (v. 4). Il riferimento alla storia di amore tra Cristo e la Chiesa richiama il motivo del fidanzamento tra Yhwh e il suo popolo, decantato nelle tradizioni anticotestamentarie (cf. Ger 2,2; libro del Cantico dei Cantici). Va sottolineata l’importanza del termine «amore» (agapē), che riassume la centralità e il dinamismo vitale del mistero cristiano. Con la perifrasi «primo amore» si allude all’amore originario con cui la Chiesa aderisce alla chiamata di Dio. L’indebolimento dell’amore produce profonde ferite nelle relazioni familiari e coniugali. Allo stesso modo l’amore si affievolisce quando la vita cristiana non esprime più la dinamica della reciprocità.
Nel v. 5 spiccano tre verbi: «ricorda (mnēmoneue), convertiti (metanoēson), compi le opere di prima (ta prōta erga poiēson)». La comunità deve ripartire dalla «memoria», dalle origini della sua fede in Cristo, lasciandoti plasmare dall’amore che trasforma il cuore. La memoria generativa deve condurre ad un cambiamento di vita. Il cambiamento di vita spinge ad incarnare nelle opere il rinnovamento del cuore. L’insistenza nel compiere le opere esprime la concretezza dell’impegno e del servizio che i cristiani di Efeso devono saper attuare. In definitiva si tratta di «ricentrare» il cammino di fede sull’amore di Cristo.
Se questo non avvenisse, allora le conseguenze sarebbero gravi. La mancata conversione conduce alla dispersione e alla sterilità della vita cristiana. L’evocazione del «candelabro» (simbolo della Chiesa: cf. 1,12) e l’immagine della sua rimozione simboleggia la dissoluzione della comunità, che viene dispersa come un gregge senza pastore, alla mercè dei lupi rapaci (cf. Gv 10,12). L’alternativa al rinnovamento è la disintegrazione della comunità, la perdita dell’identità e la infruttuosità della Parola seminata. La comunità non ha più un’identità e un posto. Un elemento positivo («buono») rilevato nella lettera è dato dal fatto che i cristiani di Efeso detestano «le opere dei nicolaiti» che sono contro il progetto di Dio (v. 6). La menzione dei «nicolaiti» fa riferimento ad un gruppo di credenti che seguivano una falsa dottrina, in opposizione al Vangelo. La loro eresia circolava nell’ambiente di Efeso, mettendo in difficoltà la comunità[3].
La lettera si chiude al v. 7 con l’invito ad ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» e la promessa al vincitore. Essa consiste nel dare «da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio». Per «vincitore» (nikōn) si intende colui che ha lottato per la fede, ha testimoniato con la vita e si è lasciato plasmare dall’azione dello Spirito di Dio. Imitando Gesù nella sua passione e risurrezione, il credente condivide la vittoria pasquale del Risorto (cf. Ap 2,26; 3,21; 12,11). Tale vittoria è intesa nella prospettiva escatologica e il suo premio consiste nell’accesso all’«albero della vita, che sta nel paradiso di Dio». L’immagine dell’albero, che richiama il racconto di Gen 2,9, ritornerà in Ap 22,2, per significare la fecondità e la pienezza dei beni che recano vita e prosperità. L’albero della vita è collocano nel racconto dell’Apocalisse nella «Gerusalemme celeste», meta dei credenti che vivono in modo definitivo la condizione di beatitudine finale.
Alla fine dei tempi, quei frutti che erano proibiti nel tempo della caduta, saranno donati in pienezza a coloro che hanno perseverato nella fede. L’interpretazione del simbolismo dell’albero della vita e dei suoi frutti si arricchisce di un doppio significato. Il mangiare dall’albero della vita allude al dono dell’Eucaristia e, allo stesso tempo, richiama il sacrificio di Cristo sulla croce (l’albero della croce)[4].
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[1] Ignazio di Antiochia segnala il pericolo della gnosi introdotto da alcuni giudaizzanti ad Efeso (cf. Ad Ephesios, 7,1; 9,1).
[2] Ireneo di Lione precisa che ad Efeso Giovanni era entrato in contrasto con lo gnostico Cerinto (cf. Adversus Haereses, 3,3,4).
[3] I nicolaiti erano probabilmente credenti che si erano avvicinati a un’eresia di tipo gnostico: non accordando alcun valore positivo alla realtà materiale e corporea della vita dell’uomo, potevano ritenersi esonerati da un effettivo impegno pratico nella carità e potevano sentirsi liberi di partecipare alle pratiche dei culti pagani (a loro viene rimproverato di mangiare le carni immolate agli idoli: cf. Ap 2,14.20). Ciò fa riferimento a una scorretta comprensione dell’incarnazione di Gesù (il «docetismo», per il quale la carne assunta dal Verbo era solo apparenza).
[4] Cf. P. Prigent, L’Apocalisse di San Giovanni, Borla, Roma 1985, 84-86.
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📣 Messaggio:
Alla luce dell’approfondimento del brano, segnaliamo alcuni aspetti conclusivi che riassumono la ricchezza del messaggio del testo. Ne indichiamo quattro: 1) La relazione tra Cristo e la Chiesa; 2) La lotta spirituale in un tempo di crisi; 3) Discernimento e conversione; 4) Il nutrimento per il cammino.
1) Ripercorrendo il contenuto della lettera si coglie in primo piano la relazione privilegiata tra Cristo e la Chiesa. Il messaggio che lo Spirito comunica ai credenti deve ridestare la coscienza di ciò che il crocifisso risorto è per la Chiesa. Dal testo emerge come il Signore sia attivamente presente nella vita della comunità e si prende cura di ogni credente. Egli sostiene il cammino dei battezzati e li esorta ad avere fiducia piena in lui. In tal modo la comunità, pur nelle difficoltà e nella fatica di vivere la sua missione, è sostenuta saldamente dalla «destra» del Signore: «il Signore è alla mia destra, non potrò vacillare» (Sal 16,8). Questa profonda relazione spirituale è la base necessaria per proseguire il cammino e maturare nella fede. Egli conosce le nostre opere e ne garantisce l’efficacia. Su questa fiducia la comunità si impegna faticosamente nel servizio ed è perseverante nella testimonianza.
2) Un secondo motivo teologico-spirituale è rappresentato dalla lotta spirituale in un tempo di crisi. Sappiamo come la lettera alla Chiesa di Efeso non intende presentare un modello cristiano facile e trionfalistico. Al contrario: la realtà culturale e sociale efesina è segnata da una profonda crisi, che si manifesta nell’opposizione alla verità del Vangelo e nel ricorso a pratiche magiche, esoteriche ed idolatriche. La lotta spirituale consiste nel resistere alla seduzione dell’idolatria, che viene propugnata dalla retorica imperiale e dal lassismo morale dilagante nella città. Il movimento cristiano, rappresentato dalle comunità paoline e giovannee, è chiamato ad opporsi risolutamente all’inganno della corruzione e dell’idolatria. Con la forza dello Spirito, ogni cristiano è testimone fedele, discepolo del suo Maestro, umile servitore della verità del Vangelo. Egli è chiamato a custodire il tesoro della vita e del suo rispetto ad ogni livello. Accettare la «prova» vuol dire abbracciare le esigenze del Vangelo delle «beatitudini», che comprendono anche la persecuzione e il martirio (cf. Mt 5,11; At 5,41).
3) Il contesto della crisi implica il dovere del discernimento e l’accoglienza dell’invito alla «conversione». Lo schema della lettera, con la concatenazione dei suoi elementi, esprime il bisogno di un «discernimento personale e comunitario». Di fronte alle sfide della società di quel tempo, i cristiani devono saper interpretare i segni, approfondire le ragioni e intuire le soluzioni da prendere per aprire nuove vie alla Parola di salvezza. Si tratta di un cammino che parte dalla presa di coscienza di sé, della propria situazione, sulla base della propria vocazione. Occorre riconoscere che si è affievolito l’amore di prima e sta venendo meno l’entusiasmo originario che ha spinto i cristiani ad aderire al Signore e a seguirlo nella concreta esistenza della comunità.
La vita quotidiana dei cristiani è il luogo pi concreto in cui questo amore si incarna. Esso si incarna nell’infinita varietà delle situazioni, ma può essere anche il luogo in cui questo amore viene progressivamente rinchiuso in confini stretti, diventando meno libero e gratuito. Per questo l’invito insiste nel non ripiegarsi su se stessi, ma aprirsi all’amore di Cristo. Questo aprirsi è un invito alla «conversione» (metanoia) e a superare le ambiguità e le falsità (cf. 2,2). È questo il tempo propizio per ripensare la propria vita e ri-orientarla a Cristo. L’esistenza dei credenti va interpretata come «esodo» dalla schiavitù del peccato alla libertà dei «figli adottivi» di Dio. La parola «conversione» acquista il significato di «liberazione» da ogni forma di schiavitù e di paura. Ritornare (ebr.: shub) al «primo amore» significa scegliere di dare il primato a Cristo e alla salvezza che viene da Dio.
4) La splendida immagine del dare da mangiare attingendo all’albero della vita (Ap 2,7) allude al bisogno del nutrimento spirituale della comunità. La vita donata dal Creatore attraverso il simbolo del giardino di Eden e dell’albero (Gen 2,9; 3,24) ci fa riscoprire l’importanza del condividere l’Eucaristia. È il nutrimento dei credenti, il segno efficace della grazia che salva e dona forza. La lotta spirituale e la testimonianza del Vangelo si collegano al dono della Parola e del pane di vita (cf. Gv 6,35). Solo Gesù, pane di vita, è colui che ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68) e ci schiude la strada per accedere alla Gerusalemme celeste, in cui si ritrova l’albero fecondo della vita. Allo stesso tempo, la comunità è chiamata a vedere nel simbolo dell’albero, la stessa croce di Cristo. È Cristo stesso rappresentato in quell’albero e il suo mistero pasquale è compimento di salvezza che raggiunge ogni credente che accoglie nella fede il dono di Dio (cf. Origene, Omelie sul Cantico, 2,6). I credenti sono chiamati a sostenersi e incoraggiarsi a vicenda, riconoscendo con gratitudine il cammino di conversione e i frutti di vita che lo Spirito stesso suscita nel cuore dei credenti.
❓ Domande
- Si avverte la presenza del Signore che agisce nella comunità? Quale aiuto/proposta va attivata per far crescere l’interesse per la vita spirituale e in quali settori della comunità è più urgente: bambini / adolescenti/ giovani / adulti / famiglie / anziani / mondo del lavoro / dello sport?
- La Chiesa di Efeso è chiamata a vivere la testimonianza del Vangelo lottando contro il male e gli elementi seduttivi che inducono all’errore. Quali sono i segni di crisi che oggi emergono dall’ambiente ecclesiale? In che modo i cristiani interpretano questi segni? Come affrontare la crisi?
- L’invito alla «conversione» implica una scelta decisa di opporsi al male e fuggire ogni forma di ambiguità e falsità: quali sono oggi le maggiori «schiavitù» che ostacolano o rallentano il processo di rinnovamento nelle nostre comunità?
- Il cammino dei credenti è finalizzato alla comunione e alla sua dimensione eucaristica, nutrimenti della vita cristiana: come si vive il dono dell’Eucaristia? Quale importanza riveste nel cammino della comunità?
La lectio divina di quest’anno è stata curata per la Diocesi da don Giuseppe De Virgilio, biblista.