Lectio 9 - Apocalisse 22

Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni!

‘     Invocazione dello Spirito Santo:

Spirito di Dio,
vieni ad aprire sull’infinito
le porte del nostro spirito e del nostro cuore.
Aprile definitivamente
e non permettere che noi tentiamo di richiuderle.
Aprile al mistero di Dio
e all’immensità dell’universo.
Apri il nostro intelletto agli stupendi orizzonti della Divina Sapienza.
Apri il nostro modo di pensare
perché sia pronto ad accogliere i molteplici punti di vista diversi dai nostri.
Apri la nostra simpatia
alla diversità dei temperamenti
e delle personalità che ci circondano.
Apri il nostro affetto
a tutti quelli che sono privi di amore,
a quanti chiedono conforto.
Apri la nostra carità
ai problemi del mondo,
a tutti i bisogni della umanità.

(Jean Galot)

?   Ambientazione:

Collegato con la precedente visione di Ap 21, l’ultimo capitolo del libro completa la presentazione della città santa e dei suoi simbolismi, inserendo lo scenario del «giardino» caratterizzato dalle immagini del fiume e dell’albero della vita. Avendo presentato Dio seduto sul trono e l’Agnello che occupano il posto centrale della Gerusalemme celeste, nei vv. 1-6 l’autore attesta che la vita sgorga da Dio paragonandola ad un fiume che porta fecondità e benessere. La condizione dei «beati» è data dall’essere pienamente in comunione con Dio, come i tralci nella vite (cf. Gv 15,4-6). Analogamente si introduce l’immagine dell’albero della vita in mezzo alla città: esso produce frutti dodici volte all’anno e le sue foglie hanno potere medicinale. Le due immagini evocano il giardino di Eden e riportano il lettore all’origini del mondo (cf. Gen 1-2). Viene presentata la comunità dei credenti («i servi»). Essi adorano Dio e l’Agnello, contemplano il suo volto, vengono illuminati dalla sua luce e portano il suo nome sulla fronte. Nei vv. 7-21 si riporta l’ultimo dialogo, che si riallaccia all’esordio del libro. Il collegamento con Ap 1 si può cogliere nella ripetizione di alcune formule: il ricordo della rivelazione (1,1 cf. 22,6), la definizione dell’opera come profezia (1,3 e 22,7.10.18.19), l’insistenza sul motivo della testimonianza (1,2 cf. 22,16.18.20), l’affermazione del tempo vicino (1,3 cf. 22,10) e la presenza di beatitudini (1,3 cf. 22,7.14). Nel v. 8 l’autore conferma la sua identità: egli è quel Giovanni che ha ricevuto fin dall’inizio la rivelazione divina (cf. 1,1.4.9) e ne è affidabile interprete (cf. 19,9-10). Il suo tentativo di adorare l’angelo viene impedito, perché anche l’angelo è «servo di Dio». Inoltre si ribadisce che la nuova realtà della beatitudine finale lascia liberi gli uomini di agire secondo la loro coscienza. La rivelazione contenuta nel libro «offre la possibilità di comprendere il senso delle dinamiche storiche e comunica la certezza della soluzione divina già all’ opera, ma riconosce anche il rispetto per le scelte storiche degli uomini»[1]. La comunità deve essere consapevole che il Signore verrà presto per compiere il giudizio. Nel v. 16 è Gesù stesso che prende la parola per confermare l’autenticità della rivelazione comunicata attraverso il suo angelo riguardo alle Chiese. In questo tempo di attesa, spicca l’invocazione liturgica rivolta a Cristo-Agnello da parte dello Spirito e della sposa: «Vieni!». Essa viene ripetuta dalla comunità, che ha ascoltato con fede le parole e le custodisce con amore. L’Apocalisse si conclude con i vv. 20-21, nei quali si conferma l’imminente venuta di Cristo accompagnata dalla formula liturgica «maranathà» e dal saluto protocollare: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti».

 

&  Brano della Scrittura: Ap 22,1-21

1E mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. 2In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. 3E non vi sarà più maledizione.

Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello: i suoi servi lo adoreranno; 4vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte.

5Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole,

perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli.

6E mi disse: «Queste parole sono certe e vere. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve. 7Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro».

 8Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. E quando le ebbi udite e viste, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’angelo che me le mostrava. 9Ma egli mi disse: «Guàrdati bene dal farlo! Io sono servo, con te e con i tuoi fratelli, i profeti, e con coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare».

10E aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. 11Il malvagio continui pure a essere malvagio e l’impuro a essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.

12Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere. 13Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine. 14Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città. 15Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!

16Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino».

17Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta, ripeta: «Vieni!». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita.

18A chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro io dichiaro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; 19e se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.

20Colui che attesta queste cose dice: «Sì, vengo presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. 21La grazia del Signore Gesù sia con tutti.

 

Æ    Approfondimento esegetico:

Nel v. 1 viene presentato un importante simbolo biblico: «un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello». L’inserimento di questa immagine evidenzia due contesti anticotestamentari. Il fiume ricorda il giardino di Eden: «un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi» (Gen 2,10). L’immagine rievoca anche il Sal 46,5 («un fiume rallegra la città di Dio»). Oltre al richiamo della creazione, il fiume evoca la visione profetica di Ezechiele (Ez 47,1-12), secondo cui l’acqua che sgorga dalla soglia del tempio diviene fiume che fa ritornare in vita il deserto di Giuda e risana le acque salate del mar Morto. Il fiume nella sfera celeste simboleggia la potenza vitale dello Spirito di Dio. Essa scaturisce dal trono divino e dall’Agnello. La connessione tra il trono, l’Agnello e il fiume (dinamismo vitale) è stata interpretata come rivelazione de mistero trinitario di Dio[2].

Nel v. 2 viene afferma che in mezzo alla piazza della città e ai lati del fiume vi è un albero di vita estremamente fruttifero: i suoi frutti vengono dodici volte all’anno e le sue foglie servono «a guarire le nazioni». La singolare descrizione, che richiama Ez 47,12 contiene due messaggi. In primo luogo l’albero è il simbolo fecondo della passione e della croce di Cristo: dalla sua croce sgorgano i frutti della vita per ogni tempo (dodici mesi). In secondo luogo le proprietà dell’albero contengono quel processo di guarigione interiore in grado di recare la salvezza alle nazioni. Per questo dono nella città santa e nel suo giardino paradisiaco «non vi sarà più maledizione» (v. 3; cf. Zac 14,11).

Nei vv. 3-5 si ribadisce la centralità mistica del trono di Dio e dell’Agnello al cui cospetto sono i suoi «servi». Essi non sperimenteranno più nessuna condanna o esclusione, non avranno più alcun timore di perdere la beatitudine del Paradiso e di essere esclusi dal cielo. Cinque peculiarità espresse al futuro vengono attribuire ai «servi»: essi adoreranno Dio, vedranno il suo volto, porteranno il suo nome sulla fronte, saranno da lui illuminati e regneranno nei secoli dei secoli. L’adorazione è il primo atto dell’elenco, che consiste nell’accogliere con fede la santità di Dio. La seconda peculiarità richiama il motivo biblico del desiderio di vedere Yhwh, che troviamo soprattutto in Mosé (cf. Es 33,20-23) e in Elia (cf.1Re 19,9-14). Il motivo della contemplazione del volto di Dio è ripreso nella letteratura profetica e soprattutto nel Salterio[3]. Nel Nuovo Testamento la visione-contemplazione del «volto di Dio» è resa possibile nell’episodio della trasfigurazione di Gesù (Mc 9,2-10) e nella sua rivelazione a Filippo (Gv 14,9: «Chi vede me, vede il Padre»). Ciò che non era possibile all’uomo terreno, nella beatitudine celeste è reso finalmente possibile. La terza peculiarità è data dal portare il nome sulla fronte. Esso è segno della definitiva ed irreversibile appartenenza a Dio degli eletti (cf. Ap 13, 16-17), i quali sono consacrati a Lui per sempre. Abbiamo trovato questo segno sul popolo dei «144.000» che hanno seguito l’Agnello sul monte Sion (Ap 14,1) e si differenziarono da coloro che portavano il marchio della bestia (cf. Ap 13,161-7; 14,9-11). La quarta peculiarità è data alla luminosità dei servi che non temono il buio e la notte, cos’ come la città santa non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello (Ap 21,23). Infine l’ultima peculiarità riguarda la partecipazione al regno divino, cioè il regno dell’amore che esclude ogni forma di negatività e di potere oppressivo. Le condizioni evocate confermano la piena comunione che i santi vivranno nella loro relazione con Dio e rivestono un carattere eterno.

Con il v. 6 si apre la seconda unità che costituisce l’epilogo del libro, caratterizzato dal dialogo liturgico. Similmente a come era iniziato il libro, l’ultima sezione dell’Apocalisse presenta una specie di celebrazione simbolica in cui prendono la parola, oltre a Giovanni e all’ assemblea, anche l ‘angelo interprete e Gesù stesso. Il veggente è nuovamente invitato a scrivere quanto ha finora visto, confermando con la sua autorevolezza che la rivelazione ricevuta è autentica e affidabile. Come Dio ha ispirato i profeti per far conoscere la sua volontà, così l’Onnipotente ha inviato il suo angelo «per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere tra breve» (v. 6; cf. Ap 1,1).  Ormai il messaggio risulta completo. Esso è indirizzato alla comunità affinché possa comprendere il progetto di Dio e vivere in un’attesa operosa, senza illusioni. È Giovanni stesso a prendere coscienza dell’importanza della sua mediazione a favore dei credenti e dii tutti i popoli. La sua testimonianza è racchiusa in questo libro ed è «beato chi ne custodisce le parole profetiche» (v. 7). Il veggente fa esperienza della grandezza di Dio e della sua debolezza (v. 8). Il suo «timore» si traduce in atto di adorazione nei riguardi dell’angelo, ma questi richiama Giovanni e lo invita ad adorare solo Dio, distinguendolo da tutti i suoi servitori e profeti (v. 9)[4]. Tutti coloro che annunciano la Parola e il libro che Giovanni ha scritto stanno in continuità con la missione profetica assegnata al veggente. A sua volta, egli deve sentirsi in comunione con i tanti fratelli che hanno esercitato e stanno esercitando una testimonianza profetica fino al dono della loro vita (v. 10). Il giudizio di Dio è ormai vicino e Giovanni non deve meravigliarsi se il mondo continua nella sua malvagità e impurità: la libertà delle persone è sempre garantita, perché l’evangelizzazione rimane pur sempre una proposta che va al cuore degli uomini e non deve mai diventare un’imposizione (v. 11).

Nel v. 12 Cristo risorto in prima persona conferma che verrà presto e nella sua parusia renderà a ciascuno secondo le sue opere (cf. Ap 2,23). Il costante richiamo al ritorno glorioso del Signore per giudicare i vivi e i morti deve stimolale la comunità a vivere l’attesa fiduciosa del compimento della giustizia divina[5]. Nei v. 13 si ripetono i titoli che definiscono il mistero di Dio, menzionati all’inizio del libro: «l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine». Vengono attribuiti a Gesù alcuni titoli che erano stati riservati al Padre[6]. Nel v. 14 si definiscono «beati» coloro che hanno testimoniato con il martirio la loro fede e hanno potuto ricevere i doni derivanti dall’albero della vita. In tale condizione di beatitudine essi hanno varcato le porte e sono entrati nella città santa. Al contrario di coloro che ne sono stati esclusi per la loro malvagità. Per essersi comportati come pagani (simboleggiati dai «cani»)[7], praticando la magia, commettendo immoralità, omicidi e idolatrie, questi individui menzogneri risultano fuori dalla beatitudine eterna (v. 15)[8]. L’elenco (catalogo) dei vizi è comune nella parenesi neotestamentaria. Esso fa parte delle istruzioni che venivano date a quanti facevano il cammino catecumenale in vista della celebrazione del battesimo[9].

Nel v. 16 si ribadisce quanto affermato in Ap 1,1. Il libro «esce dalla sua trama» narrativa per far parlare in prima persona Gesù, che si rivolge ai lettori con in seconda persona plurale («voi»). È Gesù stesso che ha inviato il suo angelo comunicare alle Chiesa la sua testimonianza. Riprendendo i titoli messianici già apparsi in Ap 5,5, Gesù si autodefinisce «radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (cf. Nm 24,17; 2Pt 1,19). In Cristo risorto sono riposte tutte le attese dei credenti che vivono ancora sulla terra e aspettano la sua apparizione finale.

Nei vv. 17-20 si registra l’ultima unità del dialogo liturgico che collega lo Spirito e la «sposa» nell’invocazione «vieni!». Si tratta dello Spirito Santo nella sua caratterizzazione profetica (cf. Ap 22,6). 2). La «sposa» è la Chiesa, già definita così in Ap 19,7-8, la fidanzata dell’Agnello (cf. Ap 21,9). Anche chi ascolta è chiamato ad associarsi alla preghiera e a condividere la gioia dell’attesa della parusia, bevendo gratuitamente all’acqua della vita, cioè abbeverandosi alla sorgente dello Spirito di amore (v. 17; cf. Gv 7,37-39). L’ultimo richiamo parenetico ritorna nei vv. 18-19, dove si ribadisce l’autenticità delle rivelazioni contenute nel libro profetico, che non devono essere mistificate né falsificate. Se qualcuno vi aggiunge o vi toglie qualcosa, riceverà la punizione da Dio e sarà privato dell’albero della vita, cioè della comunione beatifica del paradiso.

Nel v. 20 è Gesù stesso a rispondere all’invocazione liturgica della comunità, confermando: «Sì, vengo presto!»[10]. La solenne conclusione è segnata dall’Amen e dalla ripetizione comunitaria: «Vieni, Signore Gesù» (in ebraico: maranatha; cf. 1Cor 16,22). Va sottolineato come la comunità invoca la parusia senza domandare i modi e i tempi del suo compimento (cf. At 1,5-8). Il pieno affidamento a Dio da parte della Chiesa è ciò che veramente conta in vista della sua venuta. Nel v. 21 si chiude il libro con il sigillo della dossologia liturgica: «La grazia del Signore Gesù sia con tutti» (cf. Ap 1,3)[11].

f        Messaggio:

Lo studio conclusivo di Ap 22,1-22 ha evidenziato una serie di motivi teologici che illuminano il percorso del libro. Riassumiamo il messaggio del nostro brano in quattro motivi teologici: 1) La lettura della storia e la consolazione dei beati; 2) I simboli del «fiume» e dell’«albero della vita»; 3) La preghiera per la venuta del Signore; 4) L’attesa dell’imminente parusia.

 

1) Nel corso della lettura dell’Apocalisse abbiamo avuto modo di sottolineare l’intenzionalità ermeneutica dell’autore giovanneo. Egli ha riassunto nell’architettura simbolico-narrativa, una serie di messaggi finalizzati ad interpretare correttamente le vicende storiche che hanno segnato la vita delle comunità della provincia di Asia. Occorre imparare ad interpretare i segni che Dio pone nel corso della storia. Essi vanno compresi sul piano personale e comunitario. Potremmo riassumere la dialettica segno-interpretazione in tre prospettive. La prima prospettiva comprende l’idea della vita come confronto, come lotta agonica e come cammino fatto di prove. Le immagini che scorrono nella presentazione delle visioni sono eloquenti per la loro forza simbolica. Lo scontro tra il bene e il male, l’esperienza dell’unità e della divisione, la fatica di accettare le debolezze e di ricominciare fanno parte del dinamismo cristiano. La seconda prospettiva riguarda l’esercizio delle virtù teologali. L’autore sottolinea la testimonianza eroica dei martiri che hanno versalo il loro sangue seguendo l’Agnello e rifiutando ogni compromesso con l’idolatria e il potere. Con la forza dello Spirito Santo i credenti sono chiamati a vivere la fede coraggiosa, la speranza perseverante e la carità operosa. La terza prospettiva è rappresentata dalla vittoria di Dio sommo bene su ogni forma di male e dalla consolazione dei credenti, che sono ammessi alla beatitudine finale. L’Apocalisse può essere ben definita «libro di consolazione» e ogni credente può trovare in questo libro l’abbondanza della tenerezza e della consolazione che la vita terrena non gli ha potuto riservare.

 

2) Abbiamo sottolineato in modo particolare l’importanza di due simboli presentati in Ap 22,1-21: il fiume d’acqua viva, limpido come cristallo e l’albero della vita. Il sottofondo anticotestamentario di questi simboli è ricco di notevoli suggestioni, a partire dai racconti di creazione e nelle diverse tappe della storia di Israele. L’autore giovanneo costruisce abilmente la relazione trinitaria mostrando come nel Padre e nel Figlio vi sia l‘origine del fiume che simboleggia il dinamismo dello Spirito Santo a cui si collega l’albero della vita, immagine della croce gloriosa. Nondimeno l’odierna rilettura cristologica ed ecclesiale di questi due simboli ci aiuta a cogliere due sacramenti su cui si fonda la vita e la missione dei cristiani: il battesimo e l’Eucaristia. Il battesimo rappresenta la «porta d’ingresso» della comunità cristiana. La sua riscoperta è determinante per il cammino della fede pasquale. Collegata alla vita battesimale è il sacramento dell’Eucaristia, fonte e culmina di tutta la vita dei cristiani. Diversi sono i richiami all’Eucaristia nel libro giovanneo, soprattutto in relazione alla maturazione dei credenti e all’unità della Chiesa.

 

3) Un ulteriore aspetto del messaggio di Ap 22,1-21 è rappresentato dalla preghiera in attesa della venuta gloriosa del Signore. Nel tempo che scorre verso il compimento escatologico viene esaltato in modo particolare la necessità di pregare esercitando la virtù della speranza. Il grido liturgico «Vieni Signore Gesù!» riassume l’attesa piena di fede che la comunità esprime nel suo cammino lungo la storia. La preghiera liturgica formulata nelle molteplici situazioni descritte nel nostro libro si declina in ini di lodi, ringraziamenti e suppliche rivolte a Dio. Essa conferma la fede della Chiesa in cammino e eleva a Dio la richiesta di aiuto nelle difficoltà e nelle prove. L’Apocalisse può essere definito il libro neotestamentario di preghiera della comunità cristiana. La sua testimonianza assume un valore pedagogico soprattutto nell’odierno cammino della Chiesa.

 

4) Un ultimo aspetto ha come tema la questione della parusia. Come è noto nel corso delle prime generazioni cristiane l’attesa dell’imminente apparizione gloriosa del Signore ritorto segna la speranza dei credenti perseguitati. Il nostro libro lascia intendere la preoccupazione per il ritardo della parusia e, nello stesso tempo, rinsalda la speranza che il Signore sarà fedele alla sua parola. Dio non viene meno alle sue promesse In questa ottica la presentazione del messaggio escatologico dell’Apocalisse si traduce in un insegnamento di vita a livello personale e comunitario. Considerando le persecuzioni e le tribolazioni dei cristiani, tutta la Chiesa è chiamata a interrogarsi sul suo futuro a partire dalla situazione presente interpretata alla luce del mistero pasquale. Pertanto il tempo in cui vive e opera la Chiesa è occasione propizia per elevare il grado di maturità dei credenti. Nella luce della rivelazione del «Cristo-eschaton» i credenti sono chiamati all’esercizio di una responsabilità coraggiosa, sono resi santi per la potenza di Dio e destinati a far glorificare in loro il nome del Signore Gesù sostenuti dal dinamismo dello Spirito.

 

*** Domande

  • Occorre saper interpretare i segni dei tempi: quali sono oggi i segni che richiedono una lettura intelligente e attenta in grado di offrire piste di lavoro efficace per l’evangelizzazione? In che modo possiamo aiutare le comunità a fare sintesi e individuare comuni obiettivi per servire efficacemente il prossimo?
  • Dio è il Dio della vita: i simboli del fiume e dell’albero della vita interpellano anche il nostro impegno a servizio delle giovani generazioni e della vita, sia quella nascente che quella terminale. Come possiamo impegnarci oggi a servizio della vita?
  • L’Apocalisse è un libro che nasce nell’ambiente della preghiera e della liturgia. Quale importanza riveste oggi la preghiera nelle nostre comunità? Si possono pensare scuole di preghiera per i giovani, per gli adulti?
  • L’attesa della fine non deve essere rappresentata in termini catastrofici, spettacolari e cinematografici, ma avendo come riferimento il mistero pasquale e come guida la virtù della speranza. In che modo presentiamo la «speranza» cristiana? Sappiamo trovare le forme e i contesti migliori per far riflettere sulla speranza e sul mistero dell’Aldilà?

 

[1] Doglio, La testimonianza del discepolo, 339.

[2] La successiva tradizione patristica ha letto in questa immagine composta da tre elementi (il trono di Dio, l’Agnello e il fiume) il simbolo della SS. Trinità. Come tutto ha origine dall’opera creativa del Dio trinitario (cf. Gen 1-2) così tutto si compie nel mistero trinitario di Dio. Chiudendo il libro dell’Apocalisse sembra che origini della storia umana e la conclusione si ricongiungono. L’autore collega le le prime pagine della Genesi con la visione finale dell’Apocalisse: la Bibbia si apre con il racconto del giardino di Eden e del peccato che divide l’uomo da Dio (Gen 3) e si conclude con l’immagine del giardino di Eden che Dio ri-donato ai beati.

[3] Cf. Sal 11; 17; 42-43; 49; 63; 68; 72.

[4] L’espressione de v. 9 ribadisce la netta opposizione alle pratiche di un culto angelico che erano diffuse nell’ambiente efesino. L’ autore insegna che solo Dio deve essere adorato, che gli angeli sono «servi» della rivelazione divina come Giovanni (Ap 1,1) e gli altri uomini (1,1; 22,6) e che, guidati dallo spirito della profezia, tutti hanno assimilato questa parola.

[5] Diversi sono i testi biblici che confermano questo motivo; cf. Is 40,10; 62,11; Mt 16,27; 25,31-46; 2Cor 5,10.

[6] L’affermazione «Io sono l’Alfa e l’Omega, /…/ l’Onnipotente» di Ap 1,8, e poi di 21,6, è riferita infatti al Padre. «Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente» di Ap 1, 17 e poi di 2,8 è riferita a Gesù. L’affermazione: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine» di Ap 21, 6 è riferita a Dio Padre («Colui che sedeva sul trono»). L’autore unisce gli attributi del Padre e quelli del Figlio volendo indicare la comunione piena tra il Padre e il Figlio.

[7] La menzione dei “cani”, che manca in Ap 21,8 richiama i peccatori impuri (cf. Mt 7,6; Fil 3,2; cf. anche Dt 23,18). Va ricordato che questo epiteto nella mentalità ebraica era riservato ai pagani.

[8] Il v. 15 ricalca l’elenco negativo Ap 21, 8, che riporta le categorie di coloro per i quali è riservato lo stagno di fuoco e zolfo: «i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i maghi, gli idolatri e per tutti i mentitori».

[9] Cf. Mc 7,21-22; Gal 5, 18.21; Rm 1,24-31; 1Tm 1,9-10;

Le catechesi battesimali specificavano condotte o atteggiamenti incompatibili con l’adesione a Cristo e con la nuova nascita. Per tale ragione questi elenchi manifestano una certa affinità sia con varie istruzioni attestate nel Nuovo Testamento, sia con alcune liturgie battesimali.

 

[10] «Sì, verrò presto!». La venuta di Cristo è prossima. È interessante notare come questa formula ritorna sette volte nel corso dell’Apocalisse (cf. Ap 2,16; 3,11; 16,15; 22,7.12.17.20) per indicare l’immutabilità e la certezza della promessa (cf. Gc 5,8).

[11] La stessa finale è attestata in 1Cor 16,23; Rm 16,24. In 1Pt 5,14 troviamo «Pace a voi tutti che siete in Cristo!». Diversi manoscritti minori riportano l’espressione «con tutti i santi», ma è considerata un’aggiunta successiva.