
Una citazione del libro dell’Apocalisse ha guidato l’anno pastorale che stiamo vivendo: «Ecclesia sicut sponsa ornata » (Ap. 21, 2). Siamo stati invitati, attraverso la lettura dell’Apocalisse, a contemplare la Gerusalemme celeste. Questa contemplazione ci aiuta a comprendere il tempo presente e a conservare intatta e sempre la fiducia in Dio. Questa contemplazione ha anche una seconda conseguenza: guardando alla Gerusalemme celeste impariamo ad amare la Chiesa. Su questo punto vorrei soffermare la mia e la vostra riflessione: che cosa rende bella e, quindi, amabile la Chiesa? Certamente la risposta più vera la troviamo nel Credo: la Chiesa è bella ed è amabile perché è una, santa, cattolica ed apostolica. Vi invito però, all’interno di quelle che sono le note caratteristiche della Chiesa, di cercare di dare una risposta più personale, per così dire più esperienziale.
Innanzitutto amo la Chiesa perché una delle regole che guida la Chiesa è quella della gratuità. Abbiamo ascoltato, nel Vangelo che è stato proclamato in questa celebrazione, Gesù che parla della sua missione: Lo Spirito del Signore è sopra di me …. mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. Quando Gesù tramette questa sua missione ai discepoli (e quindi a noi) raccomanda una cosa: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8). Tre sono le passioni che condizionano il nostro agire e il nostro operare: l’amore, la paura e l’interesse. Ma la passione più forte è più stabile è l’interesse. Questa passione ci condiziona radicalmente, anche a livello inconscio. Di solito i rapporti interpersonali e anche quelli strutturali (cioè i rapporti fra le istituzioni) sono guidati dall’interesse. La Chiesa invece è bella perché non ha altri interessi se non il bene dell’uomo e l’amore per Gesù Cristo salvatore dell’uomo e suo liberatore. Tutti indistintamente, ma soprattutto coloro che nella Chiesa esercitano una responsabilità, siamo chiamati a dare una testimonianza limpida di gratuità. Questa testimonianza si traduce in un quotidiano rinnegamento di se stessi: il bene dell’altro viene prima del mio, il bene della comunità viene prima del mio benessere. In questa celebrazione desidero ringraziare in particolare il clero sabino che tante volte mi ha dato tangibile testimonianza di questa gratuità, dando prova di mettere il bene della nostra chiesa prima di qualsiasi altra cosa. Vi assicuro che non è facile trovare persone autenticamente libere e disinteressate e quindi il mio ringraziamento è veramente grande.
Una seconda caratteristica mi piace nella Chiesa: la sua creatività. La Chiesa nella sua storia ha attraversato innumerevoli crisi. Ma in queste crisi sono emerse sempre grandi figure che hanno saputo indicare la strada da percorrere. Sono i grandi santi che hanno difeso la verità del vangelo, che hanno dato risposte ai bisogni degli uomini del loro tempo con grandiose opere di carità, che hanno tracciato cammini spirituali che hanno lasciato una profonda traccia nella storia.
Una terza caratteristica della Chiesa mi affascina: la tradizione. Questa caratteristica sembra contrapposta alla precedente, ma non lo è affatto. La tradizione è un bene preziosissimo nella Chiesa. La tradizione diventa pericolosa quando riguarda il modo di vestire, cioè quando riguarda l’esteriorità. La vera tradizione invece è il motore che muove la Chiesa. Una volta discutendo con un vescovo, persi la pazienza e gli dissi: io faccio il parroco come lo faceva il mio parroco che a quattordici anni ma ha accompagnato in seminario e lui ne aveva più di settanta; in poche parole, faccio il parroco come lo faceva il mio parroco cento anni fa! Certe cose nella Chiesa non cambiano e non cambieranno mai, perché la Chiesa ha il compito di guidare le anime all’incontro con Dio che è eterno e immutabile.
Una quarta caratteristica contraddistingue la Chiesa e la rende bella: la perseveranza ovvero la pazienza ovvero la fedeltà. Queste tre virtù si richiamano a vicenda e contribuiscono a educarci a uno stile veramente ecclesiale. Non è un caso che queste virtù ricorrono continuamente nel libro dell’Apocalisse, soprattutto nelle cosiddette lettere alle sette chiese. Queste virtù e questo stile rende bella e incisiva la Chiesa. Queste virtù e questo stile deve caratterizzare ogni cammino spirituale autentico e ogni esercizio di responsabilità all’interno della comunità cristiana. È una cosa che riguarda tutti: religiosi, laici (e nella nostra Diocesi ci sono religiosi e laici che hanno delle importanti responsabilità pastorali!) ma soprattutto i pastori. Ricordiamoci sempre di ciò che Gesù dice nel Vangelo: Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (Lc. 21, 19)
Il Signore ci aiuti a rispondere generosamente al mandato di annunciare il Vangelo affidato ai suoi discepoli, il Signore ci aiuti ad edificare la Chiesa secondo il suo cuore nella gratuità, nella creatività, nella fedeltà e nella perseveranza. Di solito al termine dell’omelia si fa un riferimento alla Madonna. Vi do un consiglio pratico: se volete imparare ad amare la Chiesa, se volete capire come si edifica la Chiesa, se volete servire la Chiesa potete applicare le litanie lauretane, che recitiamo al termine del rosario, alla Chiesa stessa. Il riferimento alla Beata Vergine non è una cosa occasionale: Maria è quella sposa splendente di bellezza di cui parla l’Apocalisse che siamo chiamati ad imitare e alla cui protezione sempre ci affidiamo.